Crollo del centralismo ideologico (bmagazine – art’empori magazine giugno ’09)
Su Bmagazine di giugno, nell’inserto di Art’Empori Magazine, abbiamo pubblicato l’articolo che segue.
Crollo del centralismo ideologico:
identità locale e informazione orizzontale come modello culturale per il XXI secolo
di Alessio Masone e Tullia Bartolini
Negli anni sessanta e settanta, il mondo delle università costituiva l’epicentro dei fermenti culturali e innovativi della nostra società. Al contrario, in questo inizio di secolo, di fronte alle emergenze recessive, occupazionali, ambientali e democratiche, le sedi universitarie non sono luoghi di confronto capaci di imprimere alla società una svolta risolutiva.
Questo stesso limite è da attribuire anche ad altre figure, quali l’intellettuale, il politico e il giornalista: tutte accomunate dal non possedere gli strumenti per analizzare ed affrontare il cambiamento sociale in corso.
Tra le tante ragioni di questa incapacità, c’è sicuramente il vuoto delle ideologie che si è formalizzato con il crollo del Muro di Berlino. Ma, a ben vedere, le figure in crisi sono accumunate anche da un’identica strategia operativa: il centralismo e il verticismo, tipici della concentrazione della produzione di beni. Essi hanno strutturato, fino ad oggi, anche la modalità di circolazione dei valori e delle esperienze nel mondo della cultura e della politica.
Probabilmente, unitamente all’incapacità reattiva delle grandi imprese di fronte al declino di quel modello di sviluppo che proliferava centralizzando la produzione e le popolazioni in grandi agglomerati urbani, anche tutti i luoghi deputati all’analisi di una società in cambiamento (come le università, i giornali, il parlamento, i partiti, tutti strutturati verticisticamente) non sono più in grado di dare risposte.
Si pensi alle aree metropolitane: questi luoghi centripeti che aggregavano, attingendo dai territori regionali e nazionali, forze politiche, intellettuali, imprenditoriali, occupazionali (tanto che, fuori di esse, tutto era periferia della cultura), negli ultimi quindici anni, hanno perso la capacità di crescere in termini demografici.
Da città cosmopolite, capaci di fermenti in ogni campo, si sono trasformate in terra di nessuno, luoghi omologanti incapaci di esprimere innovazione.
Nel contempo, la provincia italiana, con suoi i piccoli centri urbani, si sta dimostrando vera ‘cassaforte’ della biodiversità culturale. Con connotazioni identitarie e capaci di risorse per una nuova economia, i piccoli centri urbani sono nuovi luoghi di fermento culturale, in grado di dare risposte alle emergenze occupazionali ed ambientali.
La filiera corta, già valore nei processi economici, sta risultando essere il paradigma di un nuovo modello di sviluppo necessario, non solo nel mondo economico, ma anche nella struttura sociale e culturale della collettività.
Sintomatico anche il crollo del verticismo nel mondo associativo e delle strutture sociali, in genere. Le iniziative sorgono dal basso e sono sempre più decentrate su territori periferici: una costellazione di luoghi che sono centrali a sé stessi. Strutturati in rete, invece che parte di una piramide, essi rappresentano il nuovo modello: non più ideologie monolitiche e centralizzate, ma innumerevoli e biodiversi movimenti autonomi che, come nodi di una rete involontaria, privi di gerarchie verticistiche e di dogmi, stanno cambiando il mondo nella sua interezza.
Certo – attualmente – questa visione è fruibile solo se utilizziamo, con sguardo consapevole, il web.
La discrepanza tra mondo reale e quello che i mass media, con fare reazionario, ci restituiscono come ancora attuale, denuncia la necessità di un nuovo modello di informazione.
Se la società, locale e globale, vuole affrontare il cambiamento, è necessaria una veicolazione orizzontale delle informazioni: le testate giornalistiche e le emittenti televisive, non godendo di autonomia dai partiti e dalle grandi aziende (proprietarie o inserzioniste del giornale), sono amplificatori di quell’antiquato modello di sviluppo che ancora agevola sterilmente il paradigma dei sistemi di scala, del centralismo e del verticismo.
(bmagazine – art’empori magazine giugno ’09)
Un’opinione
—————
l’uomo della strada
La crisi delle ideologie non ha certo segnato la fine dell’ideologia intesa come falsa rappresentazione o ‘contraffazione’ della realtà (a volte consapevole, a volte semicosciente od inconscia), elaborata a livello individuale o sociale per mascherarne la sua vera (spesso contraddittoria) essenza.
L’uomo comune, privo delle antiche certezze, se mai le ha avute, è ora sempre più spinto verso nuovi modelli che dovrebbero avvicinarlo alla natura e a un modo di vita più autentico e genuino…
Troppo spesso, però, la strada che gli viene tracciata è ancora quella alienante dell’ ”Homo consumens”, cioè dell’individuo che può realizzare se stesso e raggiungere la felicità soltanto ‘comprando’ e consumando nuove merci e servizi o idee (ancorché definiti ‘verdi’ o ‘locali’)…
E spesso dietro la contrapposizione tra commercio “verde” o comunque “locale” (i ‘buoni’) e catene commerciali (i cattivi ‘a priori’) si nasconde una lotta senza quartiere tra vari gruppi di interesse siano locali, nazionali e sovranazionali (sovente concretantisi, nell’uno come nell’altro schieramento, in opache organizzazioni giuridiche impersonali) impegnati a conservare od ampliare le loro quote di mercato e i profitti e ad affermare nei confronti delle istituzioni e della pubblica opinione il ‘loro’ punto di vista che può non coincidere con l’interesse collettivo.
In questo contesto può rimanere irrimediabilmente tagliato fuori e trascurato chi ha un potere d’acquisto del tutto marginale (e che, paradossalmente, si comporta in maniera ‘virtuosa’ – per necessità – più di altri, muovendosi a piedi per gli spostamenti o utilizzando i mezzi pubblici, comprando libri usati per la scuola dei figli, economizzando il riscaldamento e le altre energie di casa, adottando in generale uno stile di vita parco e misurato) e non riesce a dar voce e visibilità ai suoi bisogni, perpetuandosi antiche disuguaglianze e nuove esclusioni.
La fine delle ideologie e la crisi della politica, in effetti, potrebbe solo aver moltiplicato, rafforzato e amplificato, dal livello locale a quello globale, l’influenza di gruppi di interesse economicamente provveduti senza determinare una vera ridistribuzione della ricchezza e un incremento di democrazia e di opportunità, anzi producendo effetti opposti. E circa il “nuovo Rinascimento” che sarebbe alle porte, occorrerebbe riflettere sui limiti di quello storico che segnò la fine delle libertà comunali e l’avvento delle signorie, e fu di fatto ancora caratterizzato dal particolarismo e dalle faziosità culminanti in un permanente stato di guerra tra gli stati italiani (e all’interno degli stessi) che aprì le porte alla dominazione straniera e alla successiva decadenza della penisola.
Una vera informazione dovrebbe saper cogliere queste contraddizioni e informarne la collettività affinché questa possa formarsi opinioni veritiere sugli interessi in gioco e prendere decisioni consapevoli su quale sia un punto di mediazione accettabile rispetto al bene comune, ma il pericolo è che essa, anche nella nuova epoca, si faccia portavoce unicamente delle istanze, ancorché legittime, di taluni gruppi di interesse.
C’è, altresì, il pericolo che l’identità di una collettività, anche a livello locale, sia identificata e ‘costruita’ unicamente in funzione delle aspirazioni dei ceti dominanti o di gruppi di pressione consapevoli dei propri interessi e ben determinati a difenderli, piuttosto che in relazione alla sua effettiva ‘vocazione’, alle sue reali aspirazioni e potenzialità.
E poi rimane il problema di come identificare esattamente quali siano questa vocazione genuina e questa identità, e come promuoverne lo sviluppo, se si tiene presente che la collettività, anche a livello locale, non è quasi mai un blocco monolitico bensì un insieme composito di classi e ceti, ciascuno con propri interessi e aspirazioni non necessariamente coincidenti.
Indubbiamente la rete ha enormemente moltiplicato la possibilità di un’informazione orizzontale ed interattiva realizzabile e accessibile da molti di più che in passato, ma rimangono irrisolti parecchi nodi quali, ad esempio, il costo di accesso ai servizi di collegamento e di host e le abilità necessarie per fruirne che ancora tiene lontano parecchia gente da internet (proprio i più deboli).
Inoltre, in mancanza di scelte consapevolmente orientate, anche la rete rischia di perpetuare in maniera insidiosa quelle gerarchie e quei centralismi informativi che si vorrebbero caratteristica esclusiva dell’informazione tradizionale del secolo scorso.
Ne è una riprova la struttura di questo blog ( o diario in rete) in cui è prevista la possibilità d’intervenire (rispondere) sugli argomenti via via proposti dai curatori, realizzandosi in via di principio una discussione interattiva e paritaria… che però è solo illusoria in quanto chi risponde esprimendo la propria opinione può farlo soltanto “a mezza voce”, “sommessamente” (cioè con un carattere tipografico davvero piccolo e molto poco ‘visibile’ e leggibile in confronto a quello dell’intervento ‘principale’ che si commenta), laddove l’altro interlocutore afferma “col megafono”, per così dire, le proprie idee.
Tutto ciò non è molto diverso da quanto si verifica nella stampa tradizionale dove i commenti dei comuni lettori (quando sono pubblicati) vengono relegati nelle ultime pagine, in posizione gerarchicamente sott’ordinata, poco visibile e graficamente poco accattivante.
Imprenditori lungimiranti ed eticamente responsabili (locali e nazionali e in qualunque modo siano organizzati giuridicamente, come persone fisiche o entità impersonali o cooperative ), così come associazioni di individui e altri soggetti sociali, possono dare preziosi contributi per comprendere i cambiamenti in atto e cogliere le nuove opportunità purché vi sia piena consapevolezza degli interessi che si confrontano e ‘scontrano’ e possano esprimersi davvero le aspirazioni e i bisogni anche dei soggetti deboli.
Ma l’uomo comune non deve perdere il proprio spirito critico e non può rinunciare a far sentire la sua voce se vuole evitare che siano altri a stabilire quale sia la sua identità e dove sia e come deve realizzarsi la sua propria felicità.
16-VII-2009
Massimo Simeone –Benevento.
per curiosità: quando affermate, con la corriva apoditticità che illumina tutto l’articolo, che “i piccoli centri urbani sono nuovi luoghi di fermento culturale” etc., mica vi riferite a banavento, vero?