Valani. Attori e spettatori, di ieri e di oggi
Valani: attori e spettatori di ieri e di oggi
Nel Valani, del 5 maggio, al Teatro Comunale, facendo eccezione alla mia pigra attitudine di fruitore culturale, ho assistito, tra le altre cose mirabili, a un ottimo Tonino Intorcia.
Così convincente che, quando parodiava gli spettatori della fiera ignobile, mi ha trasferito il senso di morbosità dello spettatore. Tale è stata la capacità di elevare dal passato una denuncia che io, come spettatore del “Valani”, mi sono percepito colpevole delle odierne ingiustizie quanto, all’epoca, lo era lo spettatore della fiera dei valani.
Ho rivisto la morbosità che, per spegnere la propria noia, il passante utilizzava soffermandosi alla fiera dei valani. Ebbene quel suo gesto morboso al servizio dell’ignavia poteva essere indirizzato altrove al servizio di un’idea, di un progetto che cambiasse il mondo, invece di esserne complice.
Ho pensato che se fosse sufficiente essere spettatori, alla fine di uno spettacolo pregnante come Valani, tutti “cadremmo in ginocchio a venerarci l’un l’altro”.
Ho pensato alla funzione di chi agisce e a quella di fruitore. Ho pensato alla morbosità che, tutta d’un pezzo, il protagonista (egocentrico?) utilizza per una direzione che incide nel mondo e a quella morbosità sparsa che, invece, la persona normalizzata disperde, nell’essere complice del mondo, in tanti piccoli frammentari pezzi che, presi ognuno a sé stante, non evidenziano alcuna negatività, ma che, nell’insieme, costituiscono una morbosità collettiva che decide al posto dell’uomo.
Ho pensato alla morbosità diluita, come resa invisibile, quando disperdiamo le nostre energie, per colmare la noia con approccio individualistico, in viaggi che non ci portano a nessuna parte, in comunicazioni voyeuristiche su fb, nell’acquistare un ennesimo prodotto di cui non abbiamo bisogno.
Ho pensato a quei villaggi rurali dove la festa del grano non era, come oggi, uno spettacolo promosso da attori a favore di curiosi e morbosi, quanto inutili, spettatori, ma un’azione di condivisione naturale e obbligata che coinvolgeva, come protagonisti, tutti i componenti di una comunità territoriale.
Certo, la specializzazione del lavoro, causa principale di una carente coesione sociale, non può essere rimossa, ma certo si possono perseguire degli adattamenti.
Lo spettacolo Valani è un evento comunitario perché coinvolge, a vario titolo, più persone e più elementi del nostro territorio: le attività per la realizzazione dello spettacolo, “iniziate” negli anni cinquanta, vedono, come protagonisti, l’indimenticabile don Ciccio Romano (avvocato beneventano), Elisabetta Landi (Libreria Luidig, BN), Michelangelo Fetto e Tonino Intorcia (Solot) e i Sancto Ianne.
La valenza comunitaria di questo evento dovrebbe dare la stura a un più ampio e strutturato agire condiviso in cui ognuno, in base alle proprie specificità, da protagonista, mette a disposizione del territorio, canalizzandole, le proprie energie (morbosità) e contribuendo a uno spettacolo collettivo che vede tutti, come attori e spettatori emozionati dall’altro.
Questo procedere in rete consente che le specificità (diversità) siano motivo di inclusione e non di esclusione. Mettere in circuito le competenze di ognuno di noi realizza le basi per una democrazia partecipata.
La congiuntura sperimentata dal “Valani” non sia svilita per consentire, a noi spettatori di oggi, un inutile gesto di pietismo, quando ormai è tardi, quando l’ingiustizia è acclarata sotto gli occhi di tutti.
Evitiamo che il beneventano di oggi, rivestendo il ruolo di spettatore scandalizzato dei valani di ieri, di fatto, sia autorizzato ad essere lo spettatore inconsapevole di quelle ingiustizie di oggi che non sono ancora acclarate.
Alessio Masone
http://artempori.wordpress.com/2010/03/25/valani-una-storia-nostra-di-peppe-porcaro/