I riti settennali, tra spiritualità identitaria e suffragazione del rapporto religiosità/potere
Le note biodiverse di Art’Empori
(di Marilina Mucci) I riti settennali, tra spiritualità identitaria e suffragazione del rapporto religiosità/potere
Ho sempre avuto un rapporto difficile con i riti, essendo di Guardia Sanframondi. Devo confessare che da ragazza, alla mia prima fase di contestazioni politiche e religiose, me ne vergognavo e non li tolleravo. Da adulta, e magari per il senso di impotenza che le vicende della vita fanno sperimentare, li ho visti con occhi diversi. Mi sembrava che, in quei riti, si ripetesse la rappresentazione di una penitenza fatta per scongiurare dolori e sofferenze, il che suscitava in me compassione e solidarietà.
Quest’anno, con la spettacolarizzazione e la risonanza mediatica che hanno portato i riti alla ribalta nazionale e internazionale, sono tornate tutte le mie perplessità. Per esempio, l’esaltazione collettiva e l’intolleranza verso qualsiasi critica, ma soprattutto le dinamiche della manifestazione che mi hanno sempre irritato.
Pur riconoscendo l’eccezionalità della preservazione di una manifestazione che risale al medioevo, ciò che non riesco a capire è perché, per esempio, i ruoli principali dei misteri siano riservati sempre ai figli delle famiglie più importanti ed i ruoli secondari siano sempre delle persone meno in vista. Immaginare che i potenti facciano le comparse non è possibile. Regine o sante, papi, santi o Gesù sono sempre rappresentati dai figli dei dottori, avvocati, politici, ricchi possidenti, ecc. I battenti, poi! L’ordine del primo colpo è dato sempre da un componente di una delle famiglie più potenti di Guardia. Era così quando ero giovane ed è così ora, e ci sono liti violente per decidere a chi passare l’onore tra i vari rami della famiglia. Mi ha fatto impressione vedere tra i battenti i componenti di questa famiglia, anche quelli “colti, illuminati e di sinistra”, versare il vino sulle spugne, presi e compresi del loro ruolo. Peccato che il loro ruolo è preponderante anche a livello sociale e politico.
Non è un modo per affermare il proprio ruolo dominante? Sapete che i battenti, rispetto agli altri figuranti, fanno una processione molto più breve, si cambiano e vanno a vantare il diritto di trasportare la statua, di toccarla, e per fare questo ritardano il rientro in chiesa della statua a lungo, senza rispetto dei figuranti che invece hanno camminato per ore? Non avrebbero anche i figuranti “normali” il diritto di toccare una statua, che i battenti trattano più come totem che come simbolo religioso? Se qualcuno vuole vedere i volti dei battenti, può andare ad osservarli a contendersi la statua, che tirano di qua e di là, nei pochi metri del sagrato del santuario. Dove è allora l’anonimato e l’esperienza spirituale? A me sembra un gioco di potere, tra i battenti che si sentono proprietari della statua per il sangue versato, i soliti potenti che li coccolano e i guardiesi che accettano passivamente la cristallizzazione delle differenze sociali.
Non è questo che si è sempre criticato della chiesa cattolica, andare a braccetto con i potenti e strumentalizzare il bisogno di spiritualità del popolo? Come leggere la presenza e l’intervento di tanti esponenti politici beneventani? Tutto lo scandalo creato da un articolo di Saviano, tra l’altro vecchio, e, come nel suo stile, un misto di giornalismo e invenzione letteraria, sulla presenza di camorristi tra i battenti, fa ridere chi, come me, ha da sempre sentito dire che molte delle persone poco affidabili e, sì, anche delinquenti, di Guardia e dei paesi vicini, sono tra i battenti storici, arroganti e tanto compresi dal loro ruolo da permettersi prevaricazioni e violenza.
Per i giovani, sembra più un rito di iniziazione che un’esperienza religiosa. Forse le donne presenti, e soprattutto quelle più anziane, fanno pensare al bisogno di chiedere una grazia o di ringraziare per qualcosa, e suscitano compassione e comprensione. Tutto il resto sembra uno spettacolo, non certo una manifestazione religiosa o un momento di aggregazione dell’intera comunità. Basti pensare ai livelli di disgregazione e divisione che, nel quotidiano, attraversa Guardia per capire che i riti non ci hanno aiutato a conservare un senso di appartenenza e di solidarietà. E credo, inoltre, che la trasformazione dei riti in un “grande evento” mediatico contribuirà a farli finire.
La necessità di rappresentarli per un pubblico sempre più numeroso, ma estraneo, risulterà inevitabilmente una forzatura che li snaturerà ancora di più. Nonostante le dichiarazioni sulla presenza di 150 000 “visitatori ” e di più di 1000 battenti (che a me sembrano veramente un’esagerazione), ho sentito molti miei concittadini esprimere sentimenti di estraneità e di fastidio verso questa operazione. Molti, me compresa, fra sette anni, andranno in vacanza da qualche altra parte, possibilmente in località senza richiami mediatici. A cercare esperienze spirituali, forse, più vere ed autentiche.
Nel mio caso, allontanarmi sarà anche una necessità, visto che, da disabile, ho avuto molte difficoltà a circolare nel clima da “grande evento“ venutosi a creare. Alla stregua dell’emergenza rifiuti della Campania o del terremoto dell’Abruzzo, Guardia è stata lasciata gestire come un sito di interesse strategico nazionale! Non c’era verso di far valere il buon senso delle leggi ordinarie. Era tutto straordinario: i pass per disabili sembravano essere richieste marziane; i blocchi delle strade, a volte, erano incomprensibili e le informazioni fornite erano contraddittorie. Tutto nel migliore stile della protezione civile SPA, anche se per la verità non sono riuscita a sapere con certezza chi è stato a gestire il tutto:infatti, quando ho tentato di lamentarmi, nessuno mi ha saputo dire a chi indirizzare le mie rimostranze.
Un evento a valenza religiosa e identitaria può essere gestito come un evento eccezionale che richiede misure estranee alla vita ordinaria, quella identitaria di un borgo sannita, in deroga anche al buon senso? Se il fine mediatico e l’esaltazione collettiva vengono prima del bene della persona, anche in questo evento, la volontà generale è slegata dal bene comune.
Marilina Mucci, guardiese e ambientalista
Art’Empori, comunità dell’arte biodiversa e capace di giustizia
(le foto sono prese in prestito da Alessandro Caporaso)