Concorso di poesia dialettale
“Le radici poetiche del linguaggio subalterno” di Franca Molinaro
(da “Ottopagine”, 26 febbraio 2012)
La scomparsa del dialetto dalla vita dell’uomo del Duemila è da ricercarsi in diverse cause, le più recenti sono la necessità di una parlata universale che scavalchi la lingua nazionale e si rapporti al resto del mondo favorendo qualsiasi tipo di scambio. Gli orizzonti si sono allargati a tutto il pianeta, la rete permette di interloquire con un amico agli antipodi, è indispensabile utilizzare un linguaggio comprensibile in ogni circostanza e luogo. Il dialetto è ormai un ricordo della nostra generazione adeguatasi per forza di cose al linguaggio della comunicazione di massa. Cause più remote sono da attribuirsi alla formazione dello stato unitario che condannava la parlata locale come forma di ribellione alla nuova condizione politica. La scolarizzazione, inoltre, continuò l’opera demolitrice additando al dialetto come parlata di uomini analfabeti, non considerando affatto il valore culturale e antropologico della parlata locale all’interno di una specifica etnia. Il dialetto, insieme alle tradizioni, costituisce il filo conduttore tra le varie generazioni, è qualcosa che ci riconduce alla fonte e fa scoprire l’identità originaria.
Null’altro più di questo testimonia il legame indissolubile tra uomini di epoche differenti, autoctoni o invasori di uno stesso territorio. Purtroppo, sia l’uno che le altre sono destinate a scomparire contro l’avanzamento selvaggio della globalizzazione. La necessità dell’unificazione linguistica è comprensibile ma è anche indispensabile salvaguardare la specificità della parlata alla stregua della biodiversità per conservare le peculiarità del territorio. Il dialetto non è una lingua impoverita né una derivazione dell’italiano, è un’altra lingua, l’italiano è solo il mezzo al quale esso si rapporta per permettere gli scambi con altre comunità là dove non c’è continuità dialettale.
La supremazia di una parlata rispetto ad altre è dovuta soprattutto a questioni politiche e culturali, una lingua si afferma quando ha uno stato politico ed una letteratura, pertanto, la potenza economica, che genera anche cultura cattedratica, ancora una volta impone la sua supremazia. Questo non significa, però, che parlate “minori” siano meno importanti. Certamente risulta più facile pianificare il linguaggio, più comodo per tutti ma, quest’operazione risulterebbe simile al diserbo sistematico di un campo, quindi la desertificazione, per poi impiantare colture alternative. L’operazione porta alla soppressione del genius loci e con esso della cultura millenaria che ha generato la parlata. Il dialetto costituisce la “specificità immateriale” di un’etnia, la sua perdita porta verso l’omologazione culturale, il recupero è un atto di salvataggio. Dimenticare i vocaboli e con essi il modo di coniugarli è una perdita gravissima, con essi andrebbe perduta quella sinestesia che solo il dialetto sa creare, quelle sonorità che riportano immediatamente alle cose, agli usi. La migliazza perderebbe la sua consistenza come la feddata il suo spessore e la ciambotta la sua corposità, i tridde non verrebbero cavati più con tre dita , la pizza jonna non avrebbe più il colore dell’oro. Con la morte del dialetto, delle tradizioni, finisce un’epoca di miseria e di ricchezza ma comunque un’era che è stata la nostra ed ha costituito la nostra storia perché la storia degli umili è quella scritta poco e raccontata molto. Così la poesia della classe subalterna, il canto, la letteratura, tutto materiale considerato sempre di poco valore, lo stesso De Martino non fu preso sul serio quando iniziò, negli anni Cinquanta, i suoi studi di antropologia. C’è modo di recuperare il dialetto, già i numerosi dizionari pubblicati rappresentano una volontà forte in tal senso. Anche i poeti dialettali danno una mano significativa per il recupero di termini e sonorità l’unico problema è che sono considerati poco e con scarsi apprezzamenti, dopotutto sono considerati solo “poveri diavoli” che hanno in cuore un desiderio forte di esprimersi con un linguaggio appartenuto alla loro fanciullezza. Ma saranno gli ultimi a potersi esprimere in tal modo perché la generazione che segue ha oltrepassato anche l’italiano. C’è inoltre ignoranza anche dal punto di vista della critica, ricordo una sera ad Avellino, ero andata a ritirare un premio di poesia e mi trovai tra la classe vip della provincia, signore appena uscite dall’estetista, elegantissime, dotti professori, dirigenti scolastici, uno di questi, esprimendo apprezzamenti su una poesia in dialetto, esordì facendo notare come l’autore avesse fatto doppio lavoro, scrivere la poesia e tradurla in dialetto. Capii che il brav’uomo, in tutta la sua bontà, non aveva compreso nulla della poesia dialettale. La vera poesia dialettale, quella scritta dalla classe “subalterna”, nasce in dialetto e arriva dalla terra, dai boschi, dal passato, non è un’esercitazione letteraria per poeti in cerca di alternative, è il linguaggio del popolo. Da questo nacquero i raduni dei poeti dialettali col Centro di Documentazione sulla Poesia del Sud e col sostegno di Paolo Saggese che, da bravo critico, aveva compreso lo spirito di questa poesia, raduni tenuti per due anni a Montemarano mentre quest’anno sarà la volta di Vallesaccarda. Discutendo di questo con l’Editrice “Il Papavero”, riuscii ad entusiasmarla giungendo all’ideazione di un concorso esclusivo per poesia dialettale. Gettammo le basi per concretizzare l’idea e, per caso, una sera a tavola, ne parlai con il magistrato Benito Melchionna di Bergamo e col sindaco Carmine Famiglietti, fu sposata subito l’iniziativa ed oggi ci ritroviamo a bandire, col patrocinio del comune di Castel Baronia, il primo concorso nazionale di poesia dialettale: “Le Radici Poetiche del Linguaggio Subalterno”. Il concorso è legato alla collana “Radici” di cui curo l’editing, è aperto a tutti i dialetti italiani e ai poeti di tutte le età; il bando si può scaricare dal sito www.edizioniilpapavero.com ; la premiazione si terrà nel mese di agosto presso il Salone dell’Osso a Castel Baronia. Attraverso questo concorso intendiamo raccogliere le voci che giungono dal basso, da una cultura popolare, le voci che vivono ancora di storia, tradizioni, paesi, natura e che riconoscono, nella lingua locale, un vincolo di appartenenza.
Il concorso non prevede alcuna quota di partecipazione, né prevede l’obbligo di acquisto dell’antologia del premio per questo non è a scopo di lucro ed ognuno, dalla giuria agli esperti, apporteranno il loro contributo gratuitamente. Per poter far fronte alle difficoltà che andremo ad incontrare con dialetti differenti abbiamo reclutato esperti da ogni parte d’Italia, anche i membri della giuria saranno scelti in differenti regioni. Insomma, non vogliamo dividere l’Italia ma vogliamo unirla attraverso gli sconosciuti poeti popolari che l’arricchiscono e la onorano, una unità, quella popolare, mai realizzata ma alla quale bisogna auspicare per sostenere la nazione in un momento tanto difficile.
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Franca Molinaro