Donne come resistenza all’economia escludente e recessiva? “Le società matriarcali” di Goettner-Abendroth
di Luciana Percovich* (dal sito Comune-Info)
[...] l’antropologia che viene correntemente insegnata nelle università italiane nega l’esistenza di milioni di donne e uomini che oggi, sparsi nei vari continenti, vivono in una rete di relazioni familiari, economiche e culturali che hanno al loro centro la figura della madre.
Heide Goettner Abendroth, filosofa tedesca contemporanea, dopo aver lavorato per vari anni in ambito accademico, ha dedicato la sua vita a studiare in modo indipendente le società matriarcali, indagate nei loro aspetti sociali, politici, artistici e spirituali. Fondata nel 1986 l’Accademia Hagia per gli Studi Matriarcali Moderni, attraverso una serie di viaggi ma soprattutto basandosi sugli studi di numerosi ricercatori e ricercatrici indigene, ha pubblicato i dati delle sue ricerche in più volumi, usciti in Germania tra il 1988 e il 2000 con la Kohlhammer Verlag di Stuttgart. La traduzione italiana, che qui presentiamo, è stata fatta sulla versione inglese pubblicata nel 2012 da Peter Lang Publishing, New York.
H. G. Abendroth dedica il libro «a tutti i popoli matriarcali, anche a quelli che qui non ho potuto menzionare, da cui ho avuto il privilegio di imparare molte cose. Senza la loro saggezza, non avrei potuto scriverlo».
La prima parte è dedicata a due questioni filosofiche e metodologiche che da sole coprono un’area di studi vasta e controversa: la definizione della parola «matriarcato» e la storia critica del pensiero sul matriarcato.
La seconda parte invece è interamente dedicata a un’approfondita presentazione dei popoli che vivono attualmente in società che, pur chiamate in maniere diverse nelle lingue diverse parlate dalle singole «etnie», presentano tuttavia alcune caratteristiche che ne fanno dei matriarcati a tutti gli effetti.
Un Glossario dei termini specifici ricorrenti nel testo conclude il volume, insieme a una bibliografia di oltre quaranta pagine.
In un viaggio serrato che parte dall’India nordorientale dei Khasi, dal Nepal e dal Tibet, incontriamo i popoli delle montagne della Cina, della Korea e del Giappone. Dai Minangkabau dell’Indonesia (una delle più numerose popolazioni matriarcali esistenti, con oltre tre milioni di persone che mantengono il loro adaat in uno stato di tipo occidentale, con l’Islam come religione ufficiale, foto), il viaggio prosegue incontrando i popoli melanesiani e polinesiani e approda nelle Americhe degli Aruachi, dei Cuna, degli Hopi e degli Irochesi. Attraversa l’oceano e incontra i matriarcati dell’Africa settentrionale (Tuareg e Berberi), occidentale (Akan e Ashanti) e centrale (Bantu e Bemba), per tornare infine nell’India dei Nayar, dei Pulayan e dei Parayan, dove il contrasto con il patriarcato dei bramini induisti si mostra esemplare in tutta la sua violenza.
Sono settecento pagine che volano via tutte d’un fiato, come se fossimo in un romanzo utopico, solo che questa volta non siamo portati in paesi immaginari, come la letteratura da Platone a Voltaire, dalla Terradilei di Charlotte Perkins Gilman alla Kirghisia di Silvano Agosti o al Waslala di Gioconda Belli ci ha abituato, ma in luoghi reali, che esistono qui e ora, su questo pianeta.
Circa la scelta di usare la parola «matriarcato», l’autrice la spiega e sostiene argomentando che «recuperare questo termine significa rivendicare il sapere economico, politico, sociale e culturale di società create dalle donne. La lunga storia di queste culture è stata portata avanti da donne e uomini che hanno contribuito in egual misura a mantenerle in vita e a tramandarle alle generazioni future».
Inoltre, la parola greca arché non significa solo «dominio», come ci ha abituato a pensare la parola «patri-arcato», ma «inizio», che è anche il significato più antico della parola. Matri-arcato vuol dire dunque «all’inizio le madri», alludendo sia al dato biologico (le donne generano l’inizio della vita), sia al dato culturale (l’inizio della civiltà è stata creata dalle madri).
«All’inizio le madri» dunque e non «il dominio delle madri», in forma speculare al patriarcato: le pacifiche e ugualitarie civiltà del Neolitico sono state società improntate sui valori materni di cura e di sostegno della vita così come oggi lo sono le società matriarcali che, nascoste sotto forme politiche e religiose importate e imposte dall’esterno, continuano a tenere vivo un diverso modello di civiltà, per donne e uomini.
Nella parte dedicata alla storia critica del pensiero filosofico che si è sviluppato intorno al termine matriarcato, l’autrice introduce i Pionieri (Lafitau, Bachofen, Morgan) e tratta quindi il dibattito marxista, gli studi etno-antropologici, la preistoria, gli studi religiosi, lo studio delle tradizioni orali, gli studi archeologici fino ai moderni studi matriarcali indigeni e femministi.
Ed è a questi ultimi che va il merito di aver finalmente elaborato una soddisfacente e articolata griglia di condizioni che permette, fuori da ogni confusione più o meno innocente, di riconoscere quali sono le caratteristiche strutturali delle società matriarcali, a livello economico, sociale, politico e religioso.
A livello economico le società matriarcali sono società che creano un’economia bilanciata: le donne distribuiscono i beni tenendo come obiettivo la «mutualità economica»; una tale economia ha caratteristiche in comune con l’«economia del dono» (teorizzata da Genevieve Vaughan): sono società di mutualità economica, basate sulla circolazione dei doni.
A livello sociale si basano sulla matrilinearità e la matrilocalità, all’interno di un contesto di uguaglianza di genere: sono società orizzontali, non gerarchiche, di discendenza matrilineare.
A livello politico si basano sul consenso. La casa del clan è il nodo di connessione del processo decisionale, sia a livello locale che regionale, spesso rappresentata all’esterno da un delegato maschio; la politica rigorosa dei processi di consenso produce e garantisce non solo l’uguaglianza di genere, ma uguaglianza nell’intera società: sono società egualitarie di consenso.
A livello religioso e culturale sono caratterizzate da una profonda attitudine spirituale che permea ogni aspetto della vita; tutto il mondo è considerato divino e ha origine nel divino femminile, e ciò dà vita a una cultura sacra: sono società e culture sacre del divino femminile.
Un libro come questo ha il grande merito di aiutare a costruire uno sguardo davvero diverso su tutto ciò che non rientra tra i prodotti del patriarcato, uno sguardo che l’antropologia, pur interrogandosi in proposito, non era ancora riuscita a generare, perché prigioniera nel grande vicolo cieco della sessuazione non riconosciuta al maschile, spacciata per neutra. Uno sguardo che si libera e con stupore finalmente riesce a vedere e osserva cose che da sempre sono state sotto agli occhi di tutte/i, testimonianze del passato come realtà vive del presente, ma mute perché mancanti di un soggetto determinato a nominarle.
Sicché oggi possiamo ben dire che siamo le prime generazioni, dopo qualche millennio di oscuramento e afasia, che cominciano a «sapere» la storia e le culture indigene del mondo fuori dagli schemi dominanti del pensiero unico e universale. Oggi sappiamo che un altro mondo è stato ed è possibile. Che sostenerlo non è una fantasia consolatoria o un’utopia irraggiungibile. E a questa nuova conoscenza che sa curare le ferite del dominio e dalla necrofilia dei Padri-Padroni, donne e uomini possiamo attingere per riprendere il processo della creazione interrotta. A meno che non decidiamo volutamente di tapparci occhi e orecchie.
«Le Società Matriarcali. Studi sulle culture indigene del mondo» (traduzione di Nicoletta Cocchi e Luisa Vicinelli, Collana Le Civette Saggi, Venexia, 2013, 700 pp., 28 euro),
*Attiva nel movimento delle donne dagli anni Settanta. Luciana Percovich si è occupata di formazione presso la Libera Università delle Donne di Milano, ha diretto collane di saggistica (attualmente la collana Le Civette/Saggi per l’Editrice Venexia) e scritto su varie riviste occupandosi di medicina delle donne, scienza, antropologia, mitologia e spiritualità femminile (tra i suoi libri più importanti «Colei che dà la vita, Colei che dà la forma. Miti di creazione femminili, Venexia, 2009»).
Gentile Nina Iadanza,
trovo molto interessante e stimolante l’articolo sulle società matriarcali, anche se, almeno dal
mio modesto punto modo di vedere, bisognerebbe superare i punti di vista tra
patriarcato e forme “matriarcali”. Il contributo che uomini e donne devono dare
al benessere collettivo e al sistema ecologico terrestre è tale, ormai, che
sarebbe meglio comprendere più che la visione maschile o femminile (pur
comprendendo i disagi, le umiliazioni, le violazioni e violenze alla donna),
bisogna avere una dimensione integrata. L’esperienza “matriarcale” di questi
popoli vanno ripresi e integrati in un nuovo sistema collettivo di vita e
valori, se è possibile. Scusa la divagazione,
cordiali saluti
Michele Porcaro