Patrasso tra passato e presente, prima della crisi – Finisterre
di Michele Porcaro.
Il castello di Patrasso è il punto più alto della città. All’ombra dei resti del palazzo del comandante del castello vedo la lunga spianata aprirsi, per poi essere delimitata dalla cinta muraria rossiccia, battuta dal sole. È facile immaginare le tende o i baraccamenti della truppa nei tempi fiorenti dell’impero bizantino.
Oltre si estende la città moderna, con i suoi gioielli di età romana e bizantina, il teatro di Erode, la bizantina chiesa di Sant’Andrea, con il suo oro e il suo incenso. La fantasia vola facilmente. C’è il mare, la lingua d’acqua che si infiltra e separa le montagne della Sterea Ellada e l’Acaia, il Peloponneso settentrionale. Riesco a vedere il Rion-Antirrion Brifge, il nuovo ponte di concezioni ingegneristiche moderne, che unisce i due lembi di terra. Accanto un traghetto ozioso passa tra i pilastri, quasi a sberleffo di quelli che hanno preferito utilizzare il ponte per raggiungere l’antica Focide. I ricordi scolastici si sovrappongono facilmente alle impressioni nuovissime di questa particolare città greca.
Scendo dal castello e sono immerso nella modernità della città colorata, piena di gente e turisti. Un greco del posto mi aveva detto che la sua città è la meta turistica preferita dei ricchi greci e che io mi sto godendo una vacanza da greco. Lo ringrazio. Intanto sono tra la folla, i tassisti greci lanciano occhiate da falchi, in attesa di accogliere sulla loro vettura rossa i turisti o i passeggeri. La sinistra accarezza il volante, la destra ora cambia la marcia, ora porta alle labbra il bicchierone di carta di capuzino frozen, l’equivalente del nostro cappuccino, allungato. Tre, quattro, cinque euro, tanto può costare un taxi. Ne agguanto uno. Percorriamo una città colorata, che ti lascia un’impressione diversa, mediterranea, solare, chiassosa e bella. Certe volte hai l’impressione di essere in una Napoli degli anni 80. Il taxi con una precisa e veloce curva evita un pedone che si era fermato al suono del clacson. Parlando con i Greci senti la gioia dell’ingresso dell’euro, l’opportunità di poter viaggiare per l’Europa, ma anche la rabbia di un fallimento, di una truffa, il mettere sotto una inutile tensione fiscale un popolo fiero che ha economia tutta sua, di volere fare il volo di Icaro.
Riecco i ricordi del liceo. Un greco con cui parlo mi ricorda il passato glorioso della sua terra, ma anche che la Grecia non è più solo la terra dei miti. “Siamo cristiani anche noi, ortodossi”, mi spiega. “Abbiamo riformato anche la scrittura, niente più accenti e spiriti, ne basta uno solo”. Infatti a tentare di parlare in greco antico con un greco moderno rischi di fare la figura dello straniero che viene in Italia e si mette a parlare latino. Ti sorride educatamente e ti dice:”Hai studiato bene, ma noi in Grecia parliamo un greco diverso da quello dei nostri antenati”. Infatti, a volte, dispettosi, si mettono a parlare in inglese. “Ah, voi Italiani, che vi impuntate a non voler studiare le lingue straniere”, protestano con simpatia. Amano l’Italia e ci sono di quelli che conoscono bene sia la lingua italiana, sia il dialetto napoletano, sia la cultura e la cucina della nostra terra.
Non mi interessano le spiagge greche, quanto la cultura e i forti sapori locali che spiazzano, ma il mare ha sempre un suo fascino, quel mare che ti lascia intravedere da lontano le montagne, vette lontane che sembrano un sogno. È un’illusione, perché sono lì, specie la notte, quando si nascondono nel buio notturno, con le luci degli abitati e delle vie che ne coronano le falde.
La sera le vie non sono più vivaci, invece i locali brulicano di clienti, le cui specialità (drink or food) sono elencate da graziose butta-dentro. Si animano il centro cittadino e Rion, dove una serie di locali, ristoranti e discoteche si affacciano sul mare nero, con lo sfondo del Rion-Antirrion Bridge illuminato e le luci delle vie che serpeggiano ai piedi dei monti. Mentre musica un po’ datata viene da dietro, il barista, per prima cosa, mi mette davanti una brocca d’acqua con il bicchiere, antica memoria di xenia, ospitalità.
Questa è la città fondata dallo spartano Patreo, è la città dove Euripilo, reduce dalla guerra di Troia, re straniero in terra straniera ha portato l’arca del dio Dioniso che libererà la terra d’Acaia afflitta da flagelli, dove due giovani innamorati realizzano il loro infelice amore, perché, come ricorda Pausania nella sua guida turistica della Grecia e di Patrasso, la sola cosa che valga per l’uomo la sua vita è il successo nel proprio amore. È la terra della volontà di vivere insieme, dove quando in Grecia c’erano tiranni, pericolosi invasori e eserciti macedoni che dominavano, gli Achei decisero di riunirsi in una confederazione comune e percorrere nuove vie e nuove esperienze.