Festival di Mantova? No. Hay-on-Wye. Il paese dei libri
[di Cinzia Robbiano da Occhimentecuore] Non vado al Festival della Letteratura. Non ci vado già da qualche anno. Perché? Mantova è una città bellissima ma claustrofobica dove dovresti prenotarti già da un anno all’altro ma vivo alla giornata. E non per scelta. Poi perchè ormai in Italia anche la frazione, oserei dire la borgata, ha il suo micro festival della letteratura. In Italia siamo tutti scrittori, e poi lettori. Ma molto poi. I dati sulla lettura lo confermano.
Andrei invece nel Galles, ad Hay-on-Wye, 1900 anime e 22 librerie (più altre attività affini: restauratori, rilegatori, ecc.) definito “La Mecca dei bibliofili”, dove ogni anno si celebra uno dei più noti Festival della Letteratura al mondo.
Il festival è arrivato alla sua 26ma edizione ed è un marchio esportato in altre 13 città in diverse parti del mondo, da Cartagena a Dhaka, da Beirut a Nairobi.
Commercializza diversi oggetti tra cui un ricercato quaderno per appunti con copertina impermeabile e una coperta di lana riciclata per fronteggiare le brumose giornate inglesi.
Nel 1977 il bibliofilo Richard Boot lo dichiarò regno indipendente e si nominò re, contribuendo alla fama mondiale di questa micronazione, che muove un flusso turistico di 500 000 persone l’anno.
La sua liberia, Richard Book Bookshop, aperta nel 1962 e da qualche anno ceduta, si trova in una caserma dei pompieri dismessa, occupa tre piani, vende libri antichi, usati e nuovi, contiene un cinema ed un cafè.
Proprio da Richard Boot fu ingaggiato Paul Collins, stravagante e curioso collezionista, autore di Al paese dei libri, in cui racconta di questo “paese delle meraviglie”.
Il titolo originale è in realtà “Sixpence House. Lost in a Town of Books“: ben più affascinante perchè coinvolge anche la ricerca di una casa. Perché Paul e la moglie Jennifer vogliono che il piccolo Morgan cresca in campagna, e più la casa è vecchia, piena di umidità, di travi rose dalle tarme, più a loro pare irresistibile. E’ la Sixpence House, un vecchio pub, che per la ristrutturazione richiede una sforzo economico e di dedizione che per loro, che vengono da San Francisco, da Haight-Ashbury (il quartiere da cui nacque il movimento hippie negli anni sessanta), è inarrivabile. Si consola definendosi “topo di città”. E cita a proposito un libro del 1862, Vivere in campagna, pensare da campagna di Gail Hamilton:
Chi vive in città e trasloca ogni anno da una casa bella, rifinita, tutta a posto a un’altra uguale… ormai vede una casa solo come un enorme baule. In campagna siamo diversi: viviamo nella stessa casa finchè non si riempie di crepe, e allora mettiamo dell’intonaco nuovo; finchè non traballa e allora la puntelliamo; finchè non pende da una parte, e allora l’ancoriamo; finchè non si sbriciola, e allora rifacciamo le fondamenta – ma continuamo a viverci”.
Concludendo… come sono finita qui? non so più, mi sono persa… proprio come accaduto a Paul e Jennifer, almeno per un po’. Coltivando ancora la speranza di avere un giorno una casa in campagna, anche un po’ malandata, ma sicuramente piena di libri.
Perché “books make a home”. O no?
Cinzia Robbiano
Articolo originale
http://eyesmindandhearthaboveall.wordpress.com/2013/09/04/mantova-no-hay-on-wye/