Buona crisi e felice nuova paura, “Merry crisis and a happy new fear”. Il caso greco.
[da Comune-Info] In greco antico, krisis si riferiva a un punto di svolta, a un momento di separazione. Il termine implica conflitto e di certo le nostre azioni di oggi costruiscono già il mondo di domani. Per questo, l’aiuto reciproco e il senso di comunità di ogni giorno, che emergono tra le persone comuni nei periodi di crisi, sono motivo di speranza. Le cucine collettive in Grecia, le cliniche autogestite che offrono assistenza medica gratuita e i centri sociali che distribuiscono abiti dimostrano che nella società capitalista esistono già relazioni diverse, di altruismo e condivisione.
[di Jérôme Emanuel Roos da Comune-Info] Nel mondo occidentale il Natale è un periodo profondamente schizofrenico. Da un lato le festività fanno emergere alcuni degli aspetti migliori di ciò che significa essere umani: ci si riunisce per condividere cibo e doni in uno spirito comunitario che temporaneamente rompe con l’alienazione della vita di ogni giorno. Ma, al tempo stesso, le festività gettano luce su alcuni degli elementi peggiori del consumismo e sulle false apparenze che hanno finito per pervadere il tessuto sociale: file infinite di essere umani ridotti a zombie che si muovono meccanicamente in centri commerciali decorati pretenziosamente alla ricerca del più recente aggeggio o biglietto d’auguri inutile, confermando ancora una volta che il solo modo di esprimere valore nella società tardo capitalista è mediante l’accumulo di merci inutili, pur mentre ci sono persone che di notte dormono per strada all’addiaccio.
Quando Charles Dickens si abbandonò al lirismo a proposito della morte, dell’avidità e della miseria nel suo classico Canto di Natale, ebbe ben presenti le distorsioni sociali causate dal capitalismo industriale. Naturalmente la critica del capitalismo di Dickens mancava di un’analisi politico economica approfondita e alla fine non riuscì ad andare oltre l’indignazione morale per la povertà e il declino delle virtù umane. Ma detto questo, persino Karl Marx espresse il parere che Dickens, nella sua vita, aveva “diffuso nel mondo più verità politiche e sociali di quante fossero state formulate da tutti i politici, i pubblicisti e i moralisti professionisti messi insieme”. Il Canto di Natale fu pubblicato nel 1843, appena cinque anni prima del Manifesto del Partito Comunista e dell’onda rivoluzionaria del 1848. Se dovessimo scrivere un Canto di Natale per i nostri giorni, il racconto sarebbe davvero molto diverso?
Buona crisi e felice nuova paura
Il personaggio di Scrooge sembra tuttora onnipresente, dai ricchi investitori di Wall Street che non hanno pagato un centesimo per il caos finanziario che hanno creato nel portarci alla crisi attuale, ai politici affamati di potere che si circondano letteralmente d’oro mentre annunciano un’Era d’Austerità per tutti gli altri. Sono tuttora diffuse miseria e morte mentre le reti di sicurezza sociale sono sacrificate all’altare del mercato, mentre milioni sudano semplicemente per far quadrare i conti, sopravvivendo con le misere paghe di lavori del tutto privi di significato e sempre più precari, persino mentre sono oberati da tasse e debiti sempre maggiori. E, specialmente in questo periodo dell’anno, non sono solo le privazioni materiali che contano; il trauma psicologico della persistente insicurezza economica e dell’atomizzazione sociale semina disastri su una scala che a fatica possiamo appena immaginare, un assassino che si prende migliaia di vite di cui non sapremo mai nulla.
Mi sono recentemente trasferito ad Atene, dove la rappresentazione dickensiana del capitalismo nudo è in piena mostra ogni singolo giorno: gente comune che dorme di fronte a banche e supermercati come cani randagi; decine di migliaia di cartelli “affittasi” che coprono le pareti degli appartamenti; immigrati che si nascondono in edifici cadenti, troppo impauriti per uscire per il timore di essere aggrediti dalla polizia o dalla feccia razzista. Uno strato di smog incombe sulla città mentre le persone ricorrono al fuoco di legna e plastica per riscaldarsi. I padroni di casa hanno chiuso il riscaldamento centrale in tutto il paese, semplicemente perché gli inquilini non sono più in grado di pagare il combustibile. Solo poche settimane fa una tredicenne è morta per aver respirato monossido di carbonio dopo che sua madre aveva cercato di combattere il freddo gelido del loro appartamento. L’elettricità era stata tagliata perché non era in grado di pagare le bollette. Non si tratta di incidenti isolati. Una povertà da Terzo Mondo si sta facendo strada nel centro stesso dell’occidente “sviluppato”.
La povertà e la disuguaglianza sono in ascesa in tutta Europa e nell’intera America del nord. Una cifra record di 48 milioni di statunitensi – 22 milioni dei quali sono bambini – dipende dai buoni alimentari per sopravvivere. L’Oxfam ha recentemente avvertito che l’Europa rischia un “decennio perduto” di povertà ed emarginazione, con il direttore delle campagne della Ong che lamenta che “siamo stati fondati nel 1942 a causa della carestia in Grecia; nessuno avrebbe creduto che dopo settant’anni saremmo stati ancora qui a dire che la Grecia è in una condizione terribile”. E, di nuovo, la Grecia non è l’eccezione; la cosiddetta culla della democrazia è semplicemente l’esempio universale di una tendenza terrificante in tutto il mondo, con i regimi nominalmente democratici che ricorrono a misure sempre più autoritarie e disumane per far valere il dogma neoliberista che può essere sintetizzato in una formula semplice: privatizzare gli utili, socializzare le perdite. Scrooge incombe oggi su tutti noi, agitando manganelli e candelotti lacrimogeni.
Non è per caso, allora, che i rivoltosi che sono scesi in piazza ad Atene e in città di tutta la Grecia nel dicembre del 2008, dopo l’omicidio, da parte della polizia, del quindicenne Alexis Grigoropoulos, abbiano immediatamente attaccato e incendiato l’enorme albero di Natale che era stato così ostentatamente eretto a piazza Syntagma di fronte al Parlamento. Pochi giorni dopo le parole di un profeta sono state scarabocchiate su un muro cittadino: buona crisi e felice nuova paura! [In inglese l’espressione è meglio assonante con il tradizionale ‘Buon Natale e Felice Anno Nuovo’, rispettivamente: “merry crisis and a happy new fear” e “Merry Christmas and a Happy New Year” – n.d.t.].
Comunismo si ogni giorno e crisi dei nostri tempi
Ma non è tutto qui. Proprio come il Natale, i tempi di crisi tendono a essere profondamente schizofrenici, producendo sia pericoli estremi di disintegrazione sociale sia opportunità senza precedenti di cambiamento sociale radicale, mentre nessuna delle due cose sembrava possibile nel precedente stato di normalità. Incorporato nelle contraddizioni stesse del capitalismo c’è il potenziale latente sia della sua disintegrazione in una mostruosità, sia della sua estinzione e trascendenza in qualcosa di migliore.
In greco antico la parola greca ‘krisis’ si riferiva esattamente a questo: un momento di separazione, di decisione o giudizio, come un punto di svolta in una malattia che decide il destino del paziente: un momento di vita o di morte. In modo determinante, il termine implica ‘conflitto’: due possibili esiti ci sono davanti; le nostre azioni di oggi decideranno del mondo per decenni a venire.
Dopo essermi trasferito ad Atene ho rapidamente scoperto perché il paziente è riuscito sinora a sopravvivere alla sua crisi. Ovviamente ciò non ha nulla a che vedere con i tagli al bilancio dei salvataggi di Ue e Fmi. Tutto dipende dall’aiuto reciproco e dalla solidarietà comunitaria. Senza la gente comune che semplicemente si aiuta vicendevolmente a tirare avanti, la società greca si sarebbe trovata molto peggio. Non fosse stato per i genitori che si sono ripresi in casa giovani disoccupati sulla ventina, le mense dei poveri che hanno offerto cibo agli affamati, per cliniche autonome che hanno offerto assistenza medica gratuita ai non assicurati e centri sociali che hanno distribuito vestiario gratuito a chi ne aveva bisogno, è difficile immaginare come mai la gente ce l’avrebbe fatta. Ciò ci induce a una conclusione ironica: se non fosse stato per il senso di comunità e di aiuto reciproco – che sfidano entrambi la logica dell’egoismo di Smith e di Hayek – il capitalismo di per sé non sarebbe stato in grado di sopravvivere. In realtà nessuna società può funzionare senza una sana dose di altruismo. Il trucco, allora, sta nel produrre tale altruismo non come mezzo per sostenere il capitalismo, bensì come arma con cui ucciderlo.
David Graeber chiama questo caposaldo sociale di solidarietà comunitaria “comunismo di ogni giorno”. Basandosi sull’opera dell’antropologo francese Marcel Mauss, Graeber distingue tra tre tipi diversi di relazioni sociali: relazioni gerarchiche basate sul precedente, relazioni formalmente paritarie basate sullo scambio e relazioni genuinamente paritarie basate sulla condivisione, il vecchio principio comunista “da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni”. Questi generi diversi di relazioni sociali non sono mai monolitici e perciò non essere totalizzanti: nessuna società si basa solo sul precedente, lo scambio o la condivisione. Le tre cose, invece, coesistono in gradi diversi in tipi diversi di società. Le società feudali possono essere contrassegnate dalla prevalenza della gerarchia; le società capitaliste dal predominio dello scambio e le società genuinamente comuniste dalla condivisione. Ma anche in quest’ultimo tipo di società, la gerarchia e lo scambio non spariranno mai del tutto; saranno semplicemente subordinate a una logica culturale e sistemica diversa: la logica della condivisione avrà la precedenza nella riorganizzazione radicale delle priorità.
Naturalmente le cose non sono così semplici. Ma in questo periodo dell’anno, e in questo periodo di crisi, Mauss e Graeber indirizzano la nostra attenzione a qualcosa di molto importante: persino nella società capitalista continuano a esistere relazioni “comuniste” (di altruismo e condivisione). In effetti, per molti versi, “siamo già comunisti”, specialmente nei confronti della famiglia e degli amici, e specialmente in un giorno come questo. Sarebbe del tutto inconcepibile per chiunque tra noi presentare ai nostri genitori, fratelli e sorelle o figli il conto del pranzo di Natale che abbiamo appena cucinato per loro; proprio come sarebbe totalmente assurdo che le madri addebitassero ai figli le cure e l’allattamento al seno. Allo stesso modo è totalmente assurdo che gli Scrooge di oggi – di fronte a una crisi che loro stessi hanno causato – oggi cerchino di socializzare le loro perdite forzando giù per la gola a tutti l’austerità e schiaffando un cartellino del prezzo su beni comuni quali l’acqua e il sapere. Se portata ai suoi estremi, questa logica di crudo egoismo alla Rand condurrebbe semplicemente alla totale disintegrazione sociale; ed è precisamente a essa che il neoliberismo sta spingendo oggi il mondo.
Il fantasma dei Natali a venire
Stiamo vivendo un momento del giudizio in cui il destino deve decidersi il destino dell’umanità. In questi tempi bui, quando sembra persa ogni speranza e persino i più comunitari tra i rituali sociali stanno soccombendo allo spettacolo dello stolido consumismo, è cruciale ricordare a noi stessi che i semi di un mondo migliore hanno già radici nella terra bruciata di quello attuale; e che la nostra sfida, da “radicali” o “rivoluzionari”, non consiste necessariamente nella creazione di un’intera società nuova partendo da zero, bensì nella liberazione e attualizzazione delle potenzialità di altruismo e vita comunitaria che attualmente sono represse sotto la minaccia di un fucile. Questo dovrebbe darci speranza per la lotta: non dobbiamo necessariamente innovare tanto il nuovo, quando piuttosto dobbiamo abbattere il vecchio e rafforzare il nuovo che già esiste.
Nel Canto di Natale Scrooge alla fine era trasformato in un uomo migliore, che abbracciava lo Spirito del Natale e il senso di gioia e di comunità che rappresentava, ma non prima di essere visitato da tre fantasmi: il Fantasma dei Natali Passati, il Fantasma del Natale Presente e il Fantasma dei Natali Futuri. Il primo gli mostrava gli mostrava il suo io del passato, il bambino lieto di condividere; il secondo lo metteva di fronte all’uomo totalmente spregevole che era diventato, attaccato al suo denaro come se non ci fosse domani; e l’ultimo gli presentava la terrificante immagine di cosa lo aspettava se avesse insistito nei suoi modi da spilorcio dal cuore di pietra: “Il Fantasma si avvicinò lentamente, gravemente, silenziosamente. Quando gli fu vicino, Scrooge cadde in ginocchio poiché nell’aria stessa attraverso la quale lo Spirito si muoveva esso sembrava gettare tenebre e mistero. Era avvolto da un ampio manto nero, che gli celava la testa, il volto, la forma e non lasciava null’altro di visibile che ma mano tesa … Gli diede un fremito di vago, incerto terrore sapere che sotto il polveroso sudario c’erano occhi spettrali intensamente fissi su di lui, mentre lui, anche se si sporgeva al massimo, non poteva vedere altro che una mano spettrale e un abisso di tenebra”.
Trasformiamoci in questo tetro spirito; nel fantasma del futuro che dal suo manto tormenta il taccagno prima dell’ora di andare a letto. Rendiamoci lo Spirito dei Natali a Venire, lo spettro del comunismo già esistente che perseguita il capitalismo attuale da terreno solido di un futuro ancora da venire. Rendiamoci lo Spirito della Rivoluzione reincarnata, che abbatte gli Scrooge del nostro tempo proprio mentre le tenebre sembrano avviluppare il mondo. Buon Natale a tutti. Il maggio del 2014 sarà la data della nostra spettrale riapparizione.
Fonte: roarmag.org, traduzione di Giuseppe Volpe per znetitaly.org (che ringraziamo).
*Jérôme Emanuel Roos è un giovane scrittore e film maker