Una giornata a Bacoli, tra orti di mare e l’osteria resistente La Catagna
[di Nina Iadanza] Non bisogna andare poi tanto lontano per arrivare ai Campi Flegrei. ”La terra che brucia”, anche se oggi, ahimè, l’espressione ci ricorda tristemente altri luoghi, è una sorta di museo diffuso dove la natura ancora si manifesta imponente e la cultura greco-romana ha lasciato evidenti i segni della sua presenza.
Una grande caldera, il Parco regionale dei Campi Flegrei, con sorgenti termali, fumarole, bradisismo, laghi di origine vulcanica o di sbarramento, zone di particolare valore biologico e naturale come Capo Miseno, il Parco sommerso di Baia, il Cratere degli Astroni, riserva di caccia dei Borboni. Luoghi che soprattutto ti lasciano la possibilità di scoprire ancora qualcosa di inaspettato.
Dalle nostre parti ci si arriva facilmente. Lasciando la tangenziale a Fuorigrotta e passando da piazzale Tecchio, si può fare la via che passa lungo l’area dell’ex Italsider di Bagnoli, ora, in parte, Città della scienza, e costeggia poi il mare. Poco prima di arrivare a Pozzuoli, alberi di tamerici accompagnano il tratto di strada e sembra di stare in un posto d’altri tempi.
Ci vado ogni tanto, sia d’estate che d’inverno, e ogni volta per me è una scoperta. Il giorno di Capodanno sono stata a Bacoli e questa volta ho proseguito oltre la già nota Piscina Mirabilis per arrivare nella zona del Poggio, la parte più alta e isolata che si affaccia direttamente sul Golfo di Miseno, l’antico porto militare dei Romani.
Qui, Enea seppellì il timoniere Miseno, prima di scendere negli inferi e dopo aver consultato la Sibilla che sulle foglie al vento faceva i suoi vaticini. Fuori dai percorsi più conosciuti, ci si ritrova tra fazzoletti di terra in mezzo alle case tipiche del posto che ancora resistono fra le più recenti costruzioni i cui muri di recinzione impediscono viste mozzafiato e ci si chiede perché si permettano simili scempi.
Orti di mare fatti di filari di viti sotto cui si coltivano in bella fila, in questa stagione, finocchi, broccoli e carciofi; riquadri di terra in mezzo ai quali intravedi casotti di assi di legno inchiodate alla buona, che conservano attrezzi, e piante di mandarini. Nella vegetazione spontanea ruta, fichi d’india e cespugli di malvarosa insieme al lentisco.
Sembra di stare su un’isola: stradine strette, case coi segni della salsedine addossate le une alle altre, persone affacciate ai balconi, piccoli slarghi dove ci si ritrova per chiacchierare. La barca al posto dell’auto.
In questa stagione, nonostante le festività, non avverto frenesia nell’aria, tutto sembra più pacato, lento. La gente, prevalentemente pescatori-contadini, da queste parti, veste in maniera semplice, è cordiale, ci scambiamo volentieri saluti e auguri di buon anno.
Dalla zona del Poggio si giunge al lungo isolotto ricurvo di Punta Pennata, bordo residuo del porto di Miseno, insieme con Punta Terone e Punta della Sarparella, un tempo collegato con una striscia di terra al resto dell’abitato. Ospitava una villa imperiale i cui resti ancora si intravedono tra la vegetazione e fino alla fine dell’Ottocento era la sede del vecchio cimitero.
C’è ancora la stradina scoscesa che porta all’isolotto: si chiama Cupetelle e quelli del posto dicono che il nome è legato ai tristi accompagnamenti. La si percorre senza non qualche disagio per raggiungere un lembo di costa che affaccia su un mare trasparente, nonostante tutto, e che offre una vista mozzafiato su tutto Capo Miseno. Gli abitanti del luogo d’estate qui si fanno i bagni e dicono che farlo altrove non è la stessa cosa.
Accanto c’era una grotta conosciuta per i poteri benefici delle esalazioni di zolfo dove si curavano le malattie della pelle, ma da qualche tempo non è più accessibile per via di una frana che ne ha ostruito l’ingresso.
La Catagna, osteria che resiste all’omologazione
Proprio tra la Punta del Poggio e la Piscina Mirabilis, si trova un’osteria, ricavata in una piccola casa del posto con un terrazzo di rampicanti fiorite anche d’inverno, che affaccia su Capo Miseno.
Avevo letto della sua esistenza sulla guida Osterie d’Italia. Ma a Bacoli non c’è nessuna indicazione, non un’insegna e, per raggiungerla, mi sono sentita più volte con uno dei proprietari che mi ha spiegato come arrivarci. Alla terza telefonata mi ha detto di non “arruvogliarci le cervella”, così ho fatto leva sul mio intuito e, alla fine, sono riuscita a trovarla! Quando siamo arrivati, mi ha detto che le donne sono brave a guidare, vanno piano e non fanno incidenti. Ma le indicazioni deve chiederle chi guida e io non avevo certo guidato…
Ve la segnalo, vale la pena andarci. Si chiama “La Catagna” che, in dialetto bacolese e procidano, sta ad indicare la tana del polpo. Ncatagnare, nascondersi, infrattarsi, da cui il termine anfratto nascosto e tana di pesci.
La gestiscono da una decina d’anni i fratelli Della Ragione, Crescenzo ed Elio con Amalia, la mamma, cuoca naturale per vocazione, dopo aver deciso di trasformare la cucina di casa in un’attività economica in prima persona, grazie anche alle esperienze fatte da Crescenzo, in Inghilterra e poi in zona flegrea, e alla passione condivisa e vitale per il mare che dura da sei generazioni.
Non essendo dotati di un’insegna e di segnaletica stradale che li pubblicizza, come a farci conoscere l’interezza del luogo, ci hanno costretto a interagire con vari residenti per avere indicazioni dell’osteria.
Non sono presenti su internet con un proprio sito e, quando gli ho chiesto un indirizzò di posta elettronica, Elio è andato a controllarlo su una rubrica. Lui ritiene che il passaparola sia ancora il sistema migliore per farsi conoscere ed apprezzare. Fanno rinunce capaci di identità, come la scelta di non servire coca cola e patate fritte. Locale piccolo con camino e moderna cucina a vista. Tutto il contesto privilegia i contenuti sulle forme, l’economia reale rispetto a quella degli intermediari. Un esempio concreto di come si possa realizzare un cambiamento partendo da sé e investendo in un’attività che consente di vivere dignitosamente nel rispetto dell’ambiente e delle altre persone: senza pesare sulla collettività, reinventando, in versione responsabile, un mestiere identitario. Mentre, a pochi metri di distanza, fuori contesto, una società di investitori sta realizzando un elegante resort, al contrario, come a portare la bandiera del borgo, “La catagna” interpreta l’anima del luogo.
Il sole rendeva accogliente il terrazzo e abbiamo preferito mangiare all’aperto, sotto un pergolato di buganville ancora fiorite, che affaccia sul mare, e con una famiglia di gatti, a poca distanza, che ci guardavano sornioni.
Il pranzo lo decide il cuoco, in base al pescato del giorno e con citazioni alla macrobiotica, disciplina cara alla compagna del cuoco. Antipasto e primo, non di più, dopo l’abbondante cenone a casa dei miei amici Mustilli, vignaioli indipendenti di Sant’Agata de’ Goti.
Insalata di rinforzo con alici di Cetara, cuppettiello di crocchette di ricciola e patate, polpo affogato con crostini di pane e hummus di ceci con tahin (salsa di sesamo), riso venere e calamari con salsa shoyu (salsa di soia), sfoglie di baccalà e patate con pomodorini invernali, per antipasto. Il primo, spaghettoni al nero di seppia. Un vino, malvasia e falanghina, biologico fermentato in bottiglia. A conclusione, un mandarino profumato, regalato dai vicini ai padroni di casa e molto apprezzato da me.
Sono stata bene, io e il mio compagno ci siamo concessi un tempo e una dimensione diversa, dopo tanto lavoro. La bellezza di alcuni posti e l’energia che trasmettono certe persone incontrate, che mettono in pratica, pur fra mille difficoltà, ciò in cui credono è sempre sicuro nutrimento. Una buona fine e un buon principio.
Auguri di Buon Anno a tutti.
Alla prossima.
« Lasciai quel luogo perché c’era pericolo che se mi fossi affezionato troppo al soggiorno di Bauli, tutti gli altri luoghi che mi restano da vedere non mi sarebbero piaciuti » (Simmaco)
Osteria La Catagna, Bacoli (NA), Via Pennata 26
081 5234 218
bellissimo aticolo mi piacerebbe portarci gruppi di turisti svedesi
… che bell articolo….bisogna andarci
Con questo articolo e con quello di Lorenzo e Mariapaola sul ristorante Chilometrozero di Salerno, si può inaugurare la rubrica “Osterie resistenti” (alla crisi economica e all’omologazione).
Alessio Masone