Foto e grafia. Andata e ritorno, via Valle Caudina
[di Pasquale Palmieri e Antonio Esposito] Gli autori della mostra “Foto e grafie” raccontano le ragioni dell’iniziativa. Dal 18 aprile al 17 maggio 2014, presso lo spazio espositivo dei Magazzini Pescatore di Benevento, è visitabile la mostra “Foto e grafie. Visioni in alta lentezza lungo il percorso del treno della Valle Caudina tra Benevento e Napoli”. La mostra, a cura di Paolo Dell’Elce, propone fotografie di Pasquale Palmieri e disegni di Antonio Esposito.
[di Pasquale Palmieri] “…. e il treno partì verso occidente”, assicura Jack London durante il suo vagabondaggio, splendidamente descritto ne “La strada”. Il treno ha ispirato tanta letteratura e una infinità di visioni. London, in questo senso, è in ottima compagnia, con Dickens, Tolstoj, Zola, Proust, Verne, Monet e tanti ancora.
Neanche io ed Antonio, anche se molto più modestamente, siamo riusciti a sottrarci al fascino di raccontare croci e delizie di un piccolo treno diretto verso occidente, la “vallecaudina”, che traghetta i sanniti nell’ovest della vicina ma lontana metropoli partenopea.
In questi tempi di aspre polemiche sul precario filo di ferro che lega Benevento a Napoli (poche corse e molto lente, vagoni al di sotto del limite della decenza, assenza di treni nei giorni di festa, ecc.) abbiamo preferito schivare i difetti e indugiare sulle opportunità che un mezzo pur anacronistico e inefficiente come questo riesce a offrire.
La meta è vicina e nota, e questo treno non garantisce distacco, fuga, non genera il rinnovamento interiore di un viaggio lungo. Su questo binario, solitario e triste (per citare un più popolare Claudio Villa), i passeggeri non sono quasi mai occasionali. Affrontano il loro percorso senza curiosità e con rassegnazione. Quasi mai guardano fuori dal finestrino: non trovano paesaggi esotici da scoprire. I luoghi sono noti, consueti. Di tanto in tanto una sbirciatina fuori, ma solo per capire che tempo farà a destinazione, o se il treno è troppo in ritardo.
Io ho frequentato molto questo treno negli anni universitari. Prendevo il treno da quella che era nota come la “stazione di cartone” al mattino presto, viaggiando spesso in piedi, muovendomi goffamente fra studenti assonnati con enormi cartelle e grossi disegni in lunghi tubi di cartone.
Già a quel tempo fotografavo, con una elegantissima Nikon tutta meccanica che mi era costata lacrime e sangue, ma che non riuscivo ad usare lungo questo viaggio, che affrontavo sempre con troppo nervosismo e contrarietà.
Arriva poi il tempo in cui interviene una esigenza di mappatura e di archiviazione del passato, mossa dal bisogno di definire la propria identità e, come in una analessi, il ricordo si bilancia con l’oblio. Ho quindi avuto bisogno di anni perché il rifiuto di quei viaggi si tramutasse in seduzione, nostalgia e bellezza, e mi riappacificassi con quei vagoni, che per la fortuna dello spirito ma per il tormento del fisico, ho ritrovato identici a quelli che mi traghettavano verso la scuola di architettura.
Credo che sia stato questo percorso a spingermi a fotografare, anni dopo, questo treno, a riguardare con nuovi occhi quei luoghi dai finestrini appannati, scoprendo che i paesaggi visti dal treno mutano con maggior lentezza di quelli attraversati dalle strade asfaltate, dove l’illusione del benessere infligge ferite gravissime e consuma il territorio in maniera insanabile.
Così, attraverso quei finestrini, la fotografia collaborava con la mia memoria e, in un tentativo di riconciliazione col passato, le immagini che si presentavano al mio sguardo sfuggivano senza riuscire a bloccarsi in una forma definita.
In questa mostra il mio “mal d’archivio” si fonde con la positività delle esplorazioni di Antonio Esposito, che per anni ha invece osservato e descritto con pacatezza i suoi compagni di viaggio appuntandone sul suo moleskine sembianze e umori.
Mi è sembrato giusto che la dimensione umana di questo viaggio, l’interno del vagone, fosse narrato con l’indulgenza ed il rispetto delle sue “grafie”, sottraendosi alla violenza ed all’invadenza di un obiettivo fotografico.
E ringrazio Guglielmo Pescatore, felice del fatto che nel suo splendido showroom, Magazzini Pescatore, una delle poche finestre della città sui fermenti del design contemporaneo internazionale, abbia ancora voglia di ospitare libere visioni come le nostre.
[di Antonio Esposito] Un mio carissimo professore del Liceo artistico, molto bravo e grandissimo disegnatore, dal nome che non gli celava il destino, Rubens Capaldo, aveva l’abitudine, perché molto distratto, ogni inizio d’anno scolastico, di farci il ritratto affinché potesse associare, non visto, il viso al nome. Il suo era un segno rapido e spurio e nelle intenzioni funzionale solo ad una esigenza tecnica, come creare un registro di classe visivo… Ma io non avevo visto mai disegni più belli!
Ho capito poi la lezione che, involontariamente, aveva voluto darci. Lui non ritraeva perimetri o geometrie di uomini, ma impronte, tracce indelebili della vita che gli era di fronte e per farlo lasciava andare la mano e decontraeva i muscoli, tracciando con la matita la musica dei nostri visi.
Il tempo è passato e mi sono trovato sulla “VALLE CAUDINA”.
Ore 6.00, partenza, ore 18.30, ritorno.
Tutti i giorni, inverno, estate… Thuuuuuuuuu, questo il suono malinconico che ci catturava e ci spingeva verso Napoli.
Napoli, il sole. Arpaia, la nebbia.
Tressette, freddo, afa, amiche, maestre d’asilo, sconosciuti seduti di lato e stretti, Giancarlo, Patrizia, Rossella, Lidia, Sara, Antonia, Fiorentino… “Teofilo ha perso il treno!”, “Prendiamo il caffè da messico?”
Per caso ho iniziato a disegnare quest’umanità, con l’intento di collezionarne il ricordo, ma il pennino saltava, la matita scivolava. Allora ho capito! Avevo i muscoli contratti e la mano troppo stretta. Ecco che ritornava il maestro e mi diceva: “non opporti al treno, disegna con lui, salta con lui, abbandonati al suo ritmo!”
Sì, questi disegni sono miei e della “valle caudina”!
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