Il teatro Smeraldo chiude, Eataly apre. Contro cibo d’elite ed Expo
[da MilanoInMovimento] Certo, ci sono stati di mezzo degli anni, e non si può affatto dire che la chiusura dello Smeraldo sia colpa di Eataly. Semmai, è stata una occasione ghiotta, per ridefinire praticamente e simbolicamente il valore di quel luogo. Sulle ceneri dello Smeraldo, la cultura della tradizione gastronomica italiana diventa l’alto cibo; nel centro di uno dei quartieri più gentrificati di Milano si proclama al consumo (di classe!), come se la cultura non avesse spazio nel progetto di una città da Expo. E che consumo: la tradizione della terra diventa prodotto di élite, stando attenti che il fascino del locale, del tradizionale, del prodotto buono, sano e giusto, rimanga intatta. Come a dire, che quel locale, tradizionale, buono, sano e giusto non è più di tutti, ma appartiene alla gente per bene, misurata in termini di potere d’acquisto.
Le luci, i colori, le cose buone intorno a noi, le possibilità di gustare qualcosa di raro, la sensazione che quel frutto stia aspettando proprio noi, sia stato colto e trasportato lì proprio per noi – incarnano la ricostruzione di un mondo bello, curato, pulito, in cui tutto-va-bene; ci propongono uno stile di vita accattivante, in cui non c’è spazio per il disordine, il dissenso, la critica. Ci anestetizza. Come una passeggiata in Corso Como, come i grattacieli di Porta Nuova, ci suggerisce non solo un’idea della città, ma anche un’idea di ciò che noi dobbiamo essere e di come noi dobbiamo vivere. Di ciò a cui, da brave persone, dovremmo aspirare.
Per questo, oggi ululiamo. Siamo indisciplinati nell’affermare quel che vogliamo essere, fare, come vogliamo vivere la città, quale lavoro vogliamo scegliere e con chi lo vogliamo fare. Senza morigeratezza, disordinatamente, e con intelligenza: ululiamo liberamente contro la grande abbaiata.
http://www.inventati.org/noexpo/2014/05/09/thened-report-dei-workshop/
Come era stato annunciato, la Mayday di quest’anno non si è conclusa il 1 maggio.
Nei tre giorni seguenti si sono svolti i No Expo Days, occasione di confronto aperto, approfondimenti e definizione di un percorso che accompagnerà tutto il prossimo anno sino all’inizio di Expo Milano 2015.
Numerosi sono stati i temi trattati, dalla riforma del mercato del lavoro, alle politiche di speculazione metropolitana al diritto alla città, dalla sovranità alimentare alla sperimentazione di pratiche di autonomia finanziaria e autoproduzione sociale, dai liberi saperi a una Europa libera dai diktat finanziarie e della troika. Si tratta di temi che sono fra loro tutti intrecciati da un filo rosso che il grande evento Expo intende istituzionalizzare in nome della devastazione del territorio e del saccheggio delle nostre vite.
Il workshop “Moneta del comune e autoproduzione culturale” ha discusso la possibilità di sperimentare forme monetarie alternative nell’ambito della autoproduzione culturale, a partire dal circuito dei teatri occupati.
In “A cosa serve il Jobs Act” si è cercato di svelare il legame tra Expo e le ultime riforme del mercato del lavoro: decreto legge “Lavoro” e piano “Garanzia giovani”. Expo è stato il pretesto per l’eccezione che diventa norma con il massimo sfruttamento di manodopera a costo bassissimo o nullo. Non è un caso che nella cooptazione dei 18mila volontari si individua la parte più debole di questa operazione e sulla quale è possibile imbastire forme di resistenza e sabotaggio.
Il workshop su ‘Sovranità alimentare versus Grande distribuzione’ ha individuato la filiera produttore biologico (certificato e non) a sfruttamento zero dei braccianti – logistica autogestita in ambito metropolitano – distribuzione nel circuito Gas come progetto di alternativa economica e sociale, in grado anche di smascherare i falsi ‘prezzi etici’ delle Coop o il business per un cibo di qualità “di classe”, come Eataly, oggetto di un’azione diretta di demistificazione sabato 3 maggio. Su argomenti simili, ha riflettuto il workshop “Semi di resistenza”, che ha individuato nell’Expo 2015, dedicata a cibo e agricoltura, un affare commerciale enorme, produttore di profitti e di interessi. Non stupisce che oggi l’alimentazione sia ambito speculativo potente, come é da sempre, me ancora di più oggi nel cambiamento di rotta “green” del capitalismo. E non è un caso che in nome della sovranità alimentare ad Expo2015 sarà ospite un gigante degli OGM – Monsanto. Sotto lo stesso tetto Slow Food, Eataly, Coop corresponsabili e protagonisti del sistema Expo 2015 tanto quanto Monsanto, di quel che ha prodotto finora, di quel che produrrà.
http://www.slowfood.it/sloweb/6D70429D029731E9E4IWN2656B9D/usa-e-monsanto-contro-gli-oppositori-degli-ogm
06/01/2011 – Secondo Wikileaks, ripreso dal quotidiano britannico “The Guardian”, emergono trame degli Usa per diffondere le coltivazioni Ogm in Europa: nel 2007 rischio di una “guerra commerciale”
Wikileaks, che in questi mesi ha tenuto con il fiato sospeso i potenti di tutto il mondo con rivelazioni più o meno sensazionali, non ha risparmiato nemmeno l’agroindustria.
Qualche mese fa, alcuni quotidiani riportavano delle notizie apparse su Wikileaks secondo cui multinazionali, tra queste la Monsanto, con l’aiuto dei servizi segreti spiavano organizzazioni e attivisti anti-Ogm. Metodo sconcertante, ma forse niente di nuovo.
Sicuramente la notizia riportata l’altro giorno da The Guardian (www.guardian.co.uk) è molto più grave.
L’oggetto del contendere è l’introduzione degli Ogm in Europa. Veniamo ai fatti: l’ambasciata degli Stati Uniti a Parigi suggerì a Washington di intraprendere una vera e propria guerra commerciale contro qualunque Paese dell’Unione Europea che si fosse opposto alle coltivazioni transgeniche. È quanto emerge da un nuovo cablogramma di Wikileaks. A scatenare questa presa di posizione è il provvedimento del 2007 adottato dalla Francia di bandire una varietà di mais gm dell’americana Monsanto. L’allora ambasciatore a Parigi Craig Stapleton chiese a Washington di penalizzare l’Ue e in particolare i Paesi contrari all’utilizzo di coltivazioni Ogm, suggerendo di valutare una lista di obiettivi ritorsivi che punissero l’intera Unione Europea, perché si tratta di una responsabilità collettiva, ma che si concentrassero in particolare su quelli individuati come i peggiori colpevoli.
Il rappresentante diplomatico era buon amico e alleato commerciale dell’ex-presidente statunitense George W. Bush. Da altri dispacci, sempre secondo The Guardian, emerge come i diplomatici statunitensi nel mondo abbiano sostenuto i raccolti gm come imperativo strategico e commerciale del Governo. Pressioni che dovevano coinvolgere anche le alte sfere del Vaticano per convincere il Papa a dichiarare il suo sostegno all’uso degli Ogm in agricoltura. Cosa mai avvenuta, anzi la recente presa di posizione del cardinale Turkson (in un intervista all’Osservatore Romano il 4 gennaio 2011 che riportiamo su questo sito), va in un’altra direzione.
Ritornando al The Guardian, parlando della fitta relazione tra Usa e Spagna per fare pressioni a Bruxelles, l’estensore dell’articolo, John Vidal, scrive che «i tabulati mostrano come i diplomatici statunitensi lavorano per le società produttrici di Ogm, come ad esempio la Monsanto».
«Se queste notizie saranno confermate – sottolinea Roberto Burdese, presidente di Slow Food Italia – emerge chiaramente la forza delle multinazionali degli Ogm e dei grandissimi interessi economici che ci stanno dietro, che non sono quelli di sconfiggere la fame nel mondo o diminuire l’uso della chimica in agricoltura. E’ legittimo avanzare seri dubbi su tutte le procedure di autorizzazione approvate in Europa in questi anni in materia di Ogm».
A rendere la situazione ancora più intrigata la nota di Francesco Panella, alla guida dell’Associazione Nazionale degli Apicoltori Italiani (Unaapi) che su mieliditalia.it commenta le rivelazioni di Wikileaks: «Solo la collusione tra l’Epa (l’Agenzia Usa dell’Ambiente) e l’agrochimica Bayer ha potuto consentire l’autorizzazione della clothianidina, l’insetticida che permea piante e ambiente e comporta drammatici effetti tossici alle api e alle varie forme viventi».