In principio era l’email. Ora, la comunicazione a bassa intensità
[di Gian Pietro Jumpi Miscione da L’Undici] Quando, alla fine del secolo scorso, la posta elettronica cominciò ad affermarsi come mezzo di comunicazione, si disse – a ragione – che si era tornati all’antico uso della parola scritta.
Le email erano di fatto “lettere telematiche”, lunghi racconti, scambi di emozioni, misurate analisi di sensazioni. Parve che, per uno dei paradossi della storia, la modernità ci avesse riportato indietro nel tempo, restituendoci il piacere dello scrivere che era stato abbandonato in favore del parlare telefonico.
Le email scambiate erano assai poche, ed era quindi consuetudine prendersi molto tempo per leggerle o scriverle. Le email erano lunghe e curate: ci si metteva lì, davanti al computer e si scriveva un’email. Poi si aspettava la risposta, che poteva tardare anche una settimana o più. Amici lontani si raccontavano esperienze e accadimenti, novelli amanti si scambiavano confidenze, sconosciuti si conoscevano attraverso lunghi messaggi, gruppi di persone davano vita a mailing list dove “postare” opinioni, articoli, racconti…
Questa pratica era dovuta al fatto che le persone connesse alla rete erano poche e soprattutto raramente lo erano simultaneamente. Chi aveva la posta elettronica, quasi sempre si connetteva una volta al giorno o anche meno. “Scaricare la posta” era un atto effettivamente paragonabile all’antico atto di aprire la buchetta delle lettere. Sì, esistevano anche le chat, ma – anche in questo caso – il loro uso era fortemente influenzato dalla scarsa presenza on-line dei potenziali interlocutori. Non era pensabile poter “chattare” con chiunque dei tuoi amici, ma solo con chi – in quel preciso momento – era come te connesso.
Poi, sappiamo bene com’è andata. Il numero di persone contattabile via email è cresciuto in maniera esponenziale, tanto che ora possiamo scrivere un’email a quasi chiunque. Così come è stato vertiginoso l’aumento di messaggi scritti e ricevuti, con conseguente ed inevitabile accorciamento del contenuto dei messaggi stessi. Altro che lettere, altro che ritorno all’incantesimo della parola scritta!! Le email sono ormai, quasi sempre, striminzite e scarne comunicazioni. Se qualcuno mi scrive un’email più lunga di quindici righe, onestamente io penso: “Ma chi è questo stronzo?”. Un’email sullo stampo di una “antica lettera” ha oggi ottime possibilità di non venire letta o letta velocemente tanto da fallire nel suo più intento primario: “comunicare”.
Anche per questo, l’email sta perdendo la sua centralità come mezzo di comunicazione telematico: oggigiorno, non solo quasi ognuno di noi ha la possibilità di connettersi alla rete, ma la maggior parte di noi è quasi sempre connesso. Ed è quindi più efficacemente raggiungibile da veloci messaggi su Skype, Messenger, Facebook, GTalk, Whatsapp, ecc. Se sono al lavoro o sto camminando per strada con il mio “smartphone” collegato alla rete, e devo chiedere qualcosa a qualcuno, preferisco usare Skype piuttosto che scrivere un’email, operazione assai più farraginosa. (Quasi) tutti” sono su Skype (o equivalenti) e quasi tutti sono sempre “disponibili”.
Ma c’è un’ulteriore evoluzione in atto: non solo è pratica comune tenere Skype (o equivalenti) sempre aperto ed essere quindi contattabili in ogni momento, ma anche avere sessioni di chat costantemente attive. In altre parole la conversazione non è più un evento con un inizio ed una fine (con tanto di saluto iniziale e finale, ormai una rarità d’altri tempi), ma è piuttosto divenuto un continuum, un canale di comunicazione ininterrottamente aperto. Così se la mia fidanzata è al lavoro o in giro, comincio la chat con lei ad una cert’ora e la mantengo aperta per ore, senza interruzione. Ovviamente la chat non sarà mai sempre effettivamente “attiva”: magari ci si scrive ogni tanto, può accadere che io scriva qualcosa e lei mi risponda dopo mezzora, ma ciò che conta è che la possibilità di comunicare è stabilmente possibile: siamo sempre in contatto. Come se io fossi in una stanza e lei nell’altra: che bisogno c’è di salutarsi ogni volta? Semplicemente ci si “parla” come se si fosse fisicamente vicini.
Nell’arco di poco più di un decennio, si è dunque passati dalle lunghe e “pensate” email, ai veloci e “asciutti” messaggi scambiati attraverso un canale comunicativo costantemente disponibile. Se prima ci “immergevamo” nella scrittura o lettura di un’email, ora prediligiamo un tipo di comunicazione “a bassa intensità”.
Ma proviamo ad andare oltre. Da sempre la tecnologia ha influenzato e cambiato i nostri comportamenti “extra-tecnologici” molto più di quanto crediamo. Pensiamo, ad esempio, all’uso delle “finestre” al computer, ovvero alla possibilità di passare continuamente da un programma ad un altro, da un’attività ad un’altra, o addirittura da un lavoro ad un altro. Questa consuetudine pervasiva ha – così come il telecomando – indubbiamente avuto un effetto sulle nostre abitudini mentali: anche nella vita “normale”, tendiamo a (o cerchiamo di) passare ad un’altra “finestra” (ossia a fare altro) o cambiare canale, quando quello che abbiamo di fronte non ci piace più o ci annoia. La nostra capacità di concentrazione o di “sopportazione” è sempre più ridotta: la nostra mente si è “assuefatta” ad avere sempre disponibile l’opportunità di cambiare scenario e vuole farlo in ogni situazione, non più solo davanti al computer o alla tivvù. Oppure: cosa sarebbe la nostra vita senza il telefono cordeless? Cosa farebbero le donnine di casa se dovessero ritrovarsi un telefono con il filo e non potessero chiacchierare per ore con le amiche mentre fanno altro? Probabilmente s’impiccherebbero.
Allo stesso modo, proviamo ad interrogarci su questa comunicazione “a bassa intensità” on-line, che prevede rari momenti di autentica concentrazione e che trascende in qualche modo la lontananza fisica. Non rischia tutto ciò di avere un effetto anche sulle modalità della nostra comunicazione “off-line”, ossia su come parliamo “normalmente” con le altre persone? Non sarà cioè che – anche per effetto di quanto detto sinora – siamo sempre più inclini a conversazioni “a bassa intensità” tra persone che abbiamo fisicamente di fronte, nelle quali ci si scambiano parole e opinioni, magari intervallati da pause, sporadicamente concentrati e molto più frequentemente distratti da altri pensieri o attività? Ad esempio: quante volte avete scambiato messaggi o fatto altro durante la lettura di questo articolo? Eh? Quante volte?
Articolo originale:
http://www.lundici.it/2011/01/in-principio-era-lemail/
Articolo collegato su Art’Empori:
https://www.artempori.it/artempori/2013/04/30/conoscere-di-persona-i-personaggi-dei-romanzi-dal-blog-di-isabella-pedicini/
Gentilissimi, per chi non mi conosce, sono uno dei fondatori dell’associazione culturale LILIS (www.lilis.it) seguo le vostre discussioni e iniziative anche se sono intervenuto molto di rado. Trovo interessante questa discussione per formazione e in quanto frequentatore dagli albori di diversi gruppi di discussione e con un gruppo di amici ne facevamo una simile. Vorrei aggiungere un nuovo particolare alla questione social network/mailing list spesso sottovalutato ovvero la proprietà dei dati. Quando scriviamo su Facebook o su altri social network, oltre ad utilizzare un servizio centralizzato e proprietario, di fatto è come se cedessimo la proprietà di quanto scritto visto che questo non è ne organizzabile in categorie ne esportabile o scaricabile in qualunque maniera.
Un social network offre degli strumenti che sono sicuramente utili in un progetto di condivisione moderno tra cui quelli già elencati di poter seguire una conversazione dimostrando apprezzamento per alcuni interventi senza allungare la discussione stessa, condividere facilmente, descrivere se stessi e i propri interessi in maniera semplice ecc. Di contro si rinuncia a parte o tutta la propria privacy che viene letteralmente rivenduta assieme alle proprie preferenze, si delega ad un servizio centralizzato, spersonalizzante, dispersivo e proprietario.
Una soluzione potrebbe essere adottare un social network open source su un server proprio. In questo modo si resta proprietari dei propri dati, si può scegliere quali notifiche ricevere, non si rinuncia alla semplificazione della “comunicazione 2.0″, non si delega ne in termini di privacy fuori dal territorio ne alla vendita dei dati per scopi pubblicitari ecc.
Una soluzione del genere potrebbe essere allargata, inoltre, ad un intero territorio e al tessuto associativo in esso contenuto in modo da avere contributi differenziati e molteplici.
Un software Open Source permette di avere il completo controllo del codice e assicura l’assenza di backdoor in favore di nsa e servizi di spionaggio vari come invece hanno fatto facebook e compagnia bella e non lega l’utente a nessuna società, ne locale ne tanto meno multinazionale, visto che è liberamente condivisibile, studiabile, modificabile e senza limitazioni di uso.
Esempi di software di social network Liberi e Open Source sono Pump.io, Diaspora Elgg ecc. ma ne sono rinvenibili diversi in rete, basta cercare.
Saluti
Giancarlo
Io sto riflettendo molto su tutto ciò: ho ridotto fb e lo utilizzo per condividere appuntamenti, contenuti interessanti con amici lontani. non mi interessa come vetrina..magari come ricerca di un fidanzato sì..scherzo naturalmente..non lo voglio virtuale!
invece la mail è il mio pane quotidiano nel lavoro, per condividere progetti e allegati in breve tempo con il gruppo di lavoro. se va in tilt la posta elettronica sono persa!la mail la utilizzo anche per comunicare con persone alle quali voglio scrivere una lettera che non uso più neanche io ormai. Concludendo, credo che non ci si possa sottrarre da una fetta di esistenza in rete, ma è importante continuare a vedersi, negli occhi, e in gruppi, per condividere fisicamente, a pelle, in un abbraccio, in un bacio, in un dibattito …e poi cercare di partecipare il più possibile a spettacoli dal vivo, piuttosto che stando dietro ad un video o schermo, per quanto gigante possa essere. la vostra strega multimediale..ma sempre con la scopa!
Lorenzo, credo che bisogni analizzare le modalità di comunicazione web tramite una visione, un percorso, evitando di prendere dalle cose quello che ci conviene al momento.
Utilizzando la visione di Art’Empori, quella dell’esperienzialità, potremmo ipotizzare che la mail stia al libro come il social network sta al film. Quando più si delega alla tecnologia, tanto più perdiamo in esperienzialità.
Quando leggiamo un romanzo, mettiamo molta nostra creatività per completare le descrizioni che l’autore ci fornisce. Nel film, invece, il regista (tramite le immagini e il sonoro) decide molti più dettagli, alleggerendo l’incombenza/esperienzialità del fruitore.
In pratica, quanto più la tecnologia ci alleggerisce la fatica del vivere, tanto più ci sottrae vita. Questa visione darebbe giustizia agli uomini che ci hanno preceduto senza aver conosciuto tv, computer, aerei, ma che forse hanno vissuto in prima persona più di noi.
Allo stesso modo, noi non possiamo ritenerci più sfortunati delle prossime generazioni che godranno di maggiori tecnologie rispetto a noi. Di questo passo, potremmo anche ipotizzare che le specie viventi più sono primordiali (meno evolute) e più sono connesse alla vita.
Questa sarebbe giustizia universale.
Al riguardo, suggerisco https://www.artempori.it/artempori/2013/04/30/conoscere-di-persona-i-personaggi-dei-romanzi-dal-blog-di-isabella-pedicini/
Condivido, anche se parzialmente, il messaggio o “allarme” contenuto nell’articolo, ma non ne condivido il tono che trovo troppo giudicante.
La tecnologia, come i soldi e il potere in generale, sono come un coltello: puoi usarlo in modo costruttivo o distruttivo. Non è quindi in assoluto “il male”. Dipende solo da noi stessi.
Ricordo molto bene non solo le prime email scritte sulle oramai preistoriche BBS nei primi anni ’90 (prima di internet), ma ricordo anche lo stupore della primissima chat cui ho assistito su un vecchio Commodore64 attraverso un contatto telematico diretto via cavo telefonico.
Ricordo tutto questo con tenerezza, ma non con attaccamento.
Per me tutto è benvenuto, anche se non mi piace. E se non mi piace, non l’adotto, mantengo una mia coerenza.
Sono un utente dinamico che trova questi canali di comunicazioni a “bassa intensità” come una grande occasione, se usati e non abusati.
Sono estremamente contento di poter oggi condividere un acquisto, un fiore, un’emozione a distanza attraverso una fotografia scattata al volo.
Sono estremamente contento di poter oggi indicare la mia posizione con precisione agli amici o alla mia compagna grazie al sistema satellitare, senza usare fiumi di parole per descriverlo.
In definitiva: sono estremamente contento di usare, senza abusare, le nuove possibilità di comunicazione che sono e saranno sempre in continua evoluzione.
Non ci dimentichiamo mai che il mondo gira anche senza di noi, come ha sempre fatto e continuerà a fare. E’ nostra semplice responsabilità accettare che tutto è in continuo mutamento e quanto questo possa esserci utile o meno nella nostra vita.
Concordo. Molto interessante.
giuro…ho letto tutto d’un fiato e condivido…bell’articolo, franca