Lettera a Emanuele Vicerè, ortista e musicante del cambiamento.
[di Riccardo Delli Veneri]
“La Felicità è reale soltanto se condivisa” – Alexander Supertramp
Te ne sei andato così, veloce come un battito d’ali di quelle farfalle che hai rincorso per tutta la vita, spesso allontanandoti da quella strada, che in fondo sapevi maestra, per abbandonarti alle tue derive freak.
Eppure con le tue fisime sull’alimentazione salutista e su una vita naturale che rifiutava la tecnociviltà (quando conveniva a te!), mi aspettavo che saresti stato tu a dovermi piangere, e che saresti morto da vecchio, con la barba ormai bianca, serenamente, su un’amaca all’ombra, sorseggiando tisane d’iperico.
Hai rifiutato e spento la televisione da anni, provando a spegnerla anche ai tuoi genitori, perché la televisione spegne il cervello. Ma poi con questa cazzata, in televisione e sui giornali dei padroni ci sei finito, dando modo a gente sconosciuta di parlare di te a vanvera. Ti hanno dato del musicista, “quasi dell’alternativo”, del ricercatore “etnomusicale” (che di sicuro mi avresti chiesto “e che significa!?”).
Tu eri il freak ed io il punk, e “vivi veloce e muori giovane” doveva essere il mio motto, non il tuo! Eppure evidentemente, nella tua sfida contro di me hai provato a strafare… di nuovo!
Ma noi siamo uomini senza cravatta e continuo a non capire perché mai tu ne abbia scelta una di corda… una “moda” che certo non si confà a chi sceglie di vivere in “direzione ostinata e contraria”!
Sei quello che mi ha portato per la prima volta a cogliere asparagi, e insegnato a fare l’orto sinergico, e io quello che ti ha portato tante volte in piazza, quando c’erano i lacrimogeni e le vetrine andavano in pezzi e la polizia bramava il nostro sangue. Ma adesso chi mi aiuterà con la raccolta delle olive a Frasso? Chi rischierà di mandare a fuoco un intero uliveto e si affannerà con me a rincorrere e spegnere le fiamme su quei terreni scoscesi?
Ti sei approfittato del fatto che non fossi a Benevento per fare questa stronzata, perché lo sapevi che se stavo qua e mi chiamavano correvo a tirarti giù da quella trave per rianimarti a calci in culo. Quei calci che t’ho sempre promesso, mai dato, ma che mai come questa volta ti saresti meritato.
Noi siamo quel che siamo perché ci siamo sempre detti che amiamo la vita, che preferiamo che essa si manifesti con la rapina di una banca, con l’evasione di chi è prigioniero, con l’amore tra due bambini. E l’unica morte che vogliamo è quella di questa società infame. Ma tu eri fissato con la cazzata della “sperimentazione”, dimenticando come al solito che quello che ci fa diversi dagli animali è la capacità di accumulazione di capitale esperenziale. Non abbiamo per forza bisogno di imparare che con il fuoco ci si brucia mettendoci la mano sopra. A questo servono le mamme. Ma tu, niente, cocciuto fino in fondo evidentemente hai voluto “sperimentare” nel guardare la morte in faccia. E la morte ti ha vinto e ti ha strappato a me, a noi, al sogno di quel mondo nuovo che portiamo nel cuore e che deve crescere giorno dopo giorno. Ancora!
A me ora il compito di continuare, e di provare a vincere la Guerra Sociale anche per te, che evidentemente hai preferito il coraggio folle di una corda al collo, anziché quello di continuare a scagliarti contro il muro del conformismo, della grettezza, dell’ipocrisia borghese; che con le sue leggi non ci permette neppure di ridarti alla terra che tanto hai amato e che era tua, non per vincoli di proprietà parentale, ma perché coltivata dalle tue mani, col sangue e col sudore.
Resti di monito per chi continua a sopravvivere in questo limbo tra le mille contraddizioni della società, riconfermandomi ancora una volta che la Libertà è un’Idea che ha senso solo nella collettività e non nell’isolarsi in una maledetta casetta di paglia e merda, perché quella è un’altra cosa e si chiama solitudine.
Jessica mi ha detto che quando ti ha trovato avevi il sorriso in faccia. E se veramente non hai lasciato niente di scritto che provasse a dar senso a questa tua ultima follia, sò che allora quel sorriso è la tua ultima sfida anche nei miei confronti. D’altronde ti è sempre piaciuto farmi incazzare come una iena: peccato che questa volta non potremo fare di nuovo pace…
Per sempre tuo Fratello e Compagno
Riccardo
Benevento 13 agosto 2014
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Emanuele era parte de La Banda del Bukò.
Vedi anche: La musica relazionale della Banda del Buko’. Suonare seminando pratiche di vita felice
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Non conoscevo. Mi dispiace. Bello il ricordo. Un abbraccio.
Carissimo amico mio, ti stringo forte e ti sono vicino. Enzo
Quando si fa parte di una comunita’ si condividono come nel matrimonio gioie e dolori. Questa e’ la volta del dolore. La notizia rattrista e sconcerta sia per l’eta’ di Emanuele sia per il fatto in se, ma soprattutto perche’ , anche se ci avro’ parlato un paio di volte soltanto, sicuramente era da annoverare tra le persone speciali. Per il suo comportamento discreto, il suo stile di vita e soprattutto il suo sorriso sornione sembrava persona che la sapesse lunga come di un uomo di un tempo di la da venire. Nessuno, penso, poteva immaginare un tale evento e mi metto nei panni dell’amico Riccardo e della compagna oltre che dei parenti piu’ stretti, rimasti senza un perche’ e, come sembra, nemmeno un ultimo saluto, classico fulmine a ciel sereno.
Pur tuttavia vorrei tentare una chiave di lettura per cercare di razionalizzare il dolore, esprimendomi come di consueto risparmiando parole superflue.
La Depressione con la D maiuscola
Improvvisa incombe
tetra, densa, informe.
Cupa attanaglia le menti
ma sol tu la senti.
Nera strazia e tu lamenti.
Evanescente ,
dal nulla nascente,
pur pesa,
schiaccia e ti sospende.
Ti strema.
Resister e’ dura
anche perche’ nessun l’appura
neppure l’amicizia piu’ sincera,
perche’ lei si cela e maschera.
Gioia e’ remota ,
speranza sepolta.
Foglia morta
che vento rivolta.
Malattia assai strana
tipicamente umana.
Lenta vita si fa da parte
e in te piu’ non arde.
Sol l’inerzia ti resta
e pur essa a morir s’appresta.
Natura a vita invoglia e spinta e’ tale,
ch’anco se dura, la pena ne vale.
Ma quando il fuoco si spenge
tutto di grigio si tinge
e all’iniqua sorte
tu fai la corte.
Mai morte sara’ banale,
sol per sciocchi e’ tale.
Mistero che frastorna
e pur sempre ritorna.
Non lesinar l’aiuto.
Non e’ mal d’esistenza.
Biologica ne e’ l’essenza.
Nei neuroni il danno monta,
e Scienza come tal l’affronta.
Non mal d’animo
ma biochimica malsana.
Affidati a Ippocrate cosciente
e non affrontar da solo niente.
Michelangelo Viscione
Ciao Emanuele