Donne e ordine esperienziale. Catarsi e manualità versus potere e intellettualità.
[di Alessio Masone] A orientarsi nel pensiero femminile, tra i numerosi indirizzi possibili, non si dovrebbe considerare una via (al maschile) che sia salvezza delle sole donne, ma bisognerebbe utilizzare una via (al femminile) che sia salvezza per il mondo intero in crisi.
“Eccoli, i nostri fratelli che sono stati educati nelle scuole private e nelle due università; salgono quelle scalinate, entrano e escono da quelle porte, ascendono a quei pulpiti, pronunciano orazioni, impartiscono lezioni, amministrano la giustizia, praticano la medicina, concludono affari, fanno quattrini. … Uno era vescovo. Un altro giudice. Uno era ammiraglio. Un altro generale. Uno era professore all’Università. Un altro era medico. … Questo infatti dobbiamo domandarci senza indugi: abbiamo voglia di unirci a quel corteo, oppure no? A quali condizioni ci uniremo ad esso? E, soprattutto, dove ci conduce il corteo degli uomini colti?”
[Virginia Woolf, Le tre ghinee]
Esperienzialità e manualità: vita non delegata.
Quando leggiamo un romanzo, utilizziamo molta della nostra creatività per completare, in prima persona, le descrizioni che l’autore ci fornisce.
Nel film, invece, il regista, tramite le immagini e il sonoro, decide molti più dettagli, alleggerendo l’incombenza/esperienzialità del fruitore (vedi Conoscere di persona i personaggi dei romanzi di Isabella Pedicini).
In pratica, quanto più deleghiamo alla tecnologia che ci alleggerisce la fatica del vivere, tanto più ci viene sottratta vita. Questa visione darebbe giustizia agli uomini che ci hanno preceduto senza aver conosciuto TV, computer, aerei, ma che forse, più di noi, hanno vissuto in prima persona ed esperienzialmente, riuscendo ad essere, più di oggi, coautori del mondo.
Allo stesso modo, noi non possiamo ritenerci più sfortunati delle prossime generazioni che delegheranno maggiormente alle tecnologie. Di questo passo, possiamo ipotizzare che i lavori manuali, essendo più esperienziali, siano più appaganti di quelli intellettuali. Potremmo anche ipotizzare che le specie viventi più sono primordiali (meno sovrastrutturate) e più sono connesse alla vita.
Questa sarebbe giustizia universale.
Sottomissione volontaria e catarsi riducono la violenza nel mondo.
In parallelo, potremmo ipotizzare che l’individuo quanto più occupa le posizioni basse della scala sociale, tanto più vive l’assoluto perché la sottomissione potrebbe configurare la via naturale per sganciarsi dalla dimensione individualistica/competitiva e utile a raggiungere la catarsi, la comunione assoluta: immaginate un mistico che mette in stallo il proprio individualismo biologico infliggendosi volontariamente un dolore fisico. Basterebbe definire “catartico” ogni atto di sottomissione volontaria per rivoluzionare tutta la lettura del rapporto col potere e incidere sulla brama competitiva presente in tutti noi. E’ necessario restituire dignità e senso a tutti i sottomessi (uomini e donne) del passato e di oggi: torturati, assassinati, derubati, incarcerati, resi schiavi, umiliati, esclusi, poveri, vittime di bullismo, di razzismo, di sessismo…
Rivisitando le differenze di genere, potremmo ipotizzare che, originariamente, le donne vivevano la dimensione catartica (inclusione e manualità) e l’uomo invece la dimensione biologica (esclusione e intellettualità), quella strumentale alla sopravvivenza della specie: la competizione, la dipendenza da potere. Infatti, l’uomo, sottomesso alla biologia, è condannato a competere tutta la vita, per essere selezionato dalla donna che, grazie all’uomo assoggettato alla biologia, può permettersi un’armonia con l’universo.
Siamo biologia e nessun uomo volontariamente sarebbe capace di sottomettersi, facendo a meno dei comfort della modernità, del potere acquisito nella scala sociale, delle competenze intellettuali acquisite per allontanare le fatiche manuali, del dominio sul sesso femminile.
Invece le donne avevano altre e superiori opportunità: ribelli alla leggi della biologia che danno ordine violento alla società umana, immettono nel mondo energia volontaria e gratuita, in termini di “sottomissione”, di atto asimmetrico, di gesto d’amore per il mondo. Usare la sottomissione volontaria nel mondo biologico, mettendo in stallo la competizione, è l’effettiva rivoluzione femminile. La violenza nel mondo è diminuita nei secoli grazie alla donna che, generazione per generazione, ha imparato a selezionare uomini meno violenti e meno competitivi, in quanto affini al sentire femminile, appunto meno biologico e più catartico. Grazie alla donna, l’umanità ha preso le distanze dallo stadio animale. Quindi, alla dimensione maschile/biologica si contrappone la dimensione femminile/culturale, in quanto mette in discussione la violenza della biologia.
Ordine catartico esperienziale contro la crisi economica e sociale.
Oggi, è ormai fallito definitivamente l’attuale modello di sviluppo, quello occidentale/maschile basato sulle leggi biologiche della competizione, che è arrivato alle estreme conseguenze anche per essere stato, nelle epoche recenti, avallato da una donna maschilizzata alla ricerca di un potere/parità al maschile: a questo punto, diventa urgente recuperare anche per l’uomo un nuovo ordine femminilizzato, in quanto rigetterebbe la competizione e il potere. Oggi, l’ordine esperienziale deve diventare di tutti, se vogliamo contrastare la crisi economica e sociale in corso che è stata causata da una cittadinanza sempre meno esperienziale e sempre più delegata a quell’economia dei servizi e delle professioni intellettuali passata da una posizione accessoria a quella dominante sull’economia fisica e dei mestieri manuali.
Immaginate che rivoluzione culturale, capace di coesione e felicità diffusa, si innescherebbe se iniziassimo a imitare coloro che rifuggono il potere e a sospettare di infelicità chiunque insegua la competizione e il dominio? Immaginate quanta violenza e quanta criminalità verrebbero spontaneamente meno nel mondo, se già nel fruire delle arti eliminassimo competizione, classifiche, premi e quotazioni di mercato? Immaginate quanta attitudine all’inclusione e alla coesione si diffonderebbe nella popolazione, se evitassimo esclusione e competizione nell’organizzare le iniziative culturali? Immaginate quanta economia nuova, reale e condivisa si avrebbe se volessimo dare più valore ai lavori manuali che a quelli intellettuali?
Nella relazione dei sessi, l’uomo era il sacerdote che, “sottomesso” alle dure leggi della biologia e dell’evoluzione, viveva una vita relativa per consentire la vita catartica e assoluta alla donna. La donna sembra individuare e istruire il suo uomo per consentire che ciò avvenga.
Donna e cambiamento dal basso come superamento della maschile democrazia rappresentativa.
Dalla sua posizione catartica, solo in termini biologici definita di sottomissione ai simili ma ribelle alla biologia e all’omologazione, la donna è portatrice per antonomasia del cambiamento dal basso, quello che avviene nel quotidiano, con il linguaggio esperienziale della non violenza, dell’inclusione e della cura: una democrazia diffusa, come alternativa alla democrazia rappresentativa e delegata. Altri cambiamenti, se avvengono tramite il ricorso al potere pubblico, al maschile, al di là delle intenzioni, sono di fatto funzionali all’immobilismo e all’ingiustizia.
La donna catartica, dal basso, nel privato quotidiano, ha sempre promosso una giustizia per tutti, mentre la donna femminista, pubblicamente, lotta solo per sé.
La lotta in corso non è tra donne e uomini, ma tra cambiamento dal basso e politica (democrazia rappresentativa), tra esperienzialità e delega, tra manualità e intellettualità e tra cooperazione e quella sopraffazione che non è solo del maschile sul femminile.
La donna, probabilmente, non abitava i luoghi delle politica pubblica perché, questa, a differenza del cambiamento dal basso, si configura come democrazia rappresentativa che è portatrice di violenza e omologazione, in quanto legittima una maggioranza che schiaccia le minoranze e le differenze.
Certo, possiamo stupirci che, nel passato, alle donne venisse impedito di studiare e di esercitare professioni intellettuali. Ma, in una visione che va oltre il biologico, si potrebbe ipotizzare che gli uomini, a differenza delle donne, avessero bisogno di studiare per surrogare quel sapere catartico, innato nelle donne, e quei saperi concreti di cui le donne sono maestre con le loro attitudini alla manualità e alla cura. Mentre l’uomo parla di cultura, spesso utilizzando “stili di azione biologica” (in quanto carichi di competizione e esclusione), la donna faceva cultura, in modo esperienziale e manuale, utilizzando nel quotidiano, “stili di azione culturale” coerenti con un linguaggio della pace e dell’inclusione, quindi mettendo in discussione le leggi della biologia.
La donna, nel suo quotidiano catartico, facendo un paragone, è l’artista, mentre l’uomo, in funzione complementare e temporanea, è il critico d’arte, lo studioso dell’arte svolta dalle donne. L’uomo è l’esecutore del sentire femminile, come il poliziotto è l’esecutore delle decisioni del legislatore: ma, quando si è bambini, si pensa che il potere di giustizia sia tutto in mano al poliziotto.
Anche il femminismo, quando sarà adulto, smetterà di confondere il ruolo dell’esecutore con quello di chi decide.
Spesso, dimentichiamo che lo studio è solo strumentale alla vita reale, quella esperienziale, manuale. Forse, gli antichi non sono stati più sfortunati di noi per non aver conosciuto aerei e automobili: siamo noi moderni che, perse le esperienzialità degli antichi, abbiamo acquisito la dipendenza da un viaggiare esteriore che necessita di delegare a mezzi di trasporto sempre più tecnologici e veloci.
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Foto di Giovanni De Caro. Donna etiope.
Sulla fruizione esperienziale dell’opera vedi post di Isabella Pedicini: Conoscere di persona i personaggi dei romanzi