Il più grande del mondo. Vita e morte di Arpad Weisz, allenatore ebreo

Sullo spettacolo del 25 aprile 2015, presso il Magnifico Visbaal Teatro di Benevento, con la Compagnia Mutamenti/Teatro Civico 14

arpad-weisz (1)[di Antonio Di Chiara] La prima volta che ho sentito parlare di Arpad Weisz è stato vedendo, un paio di anni orsono, il programma “Federico Buffa racconta Arpad Weisz”.

Ricordo che era il Giorno della Memoria, il 27 gennaio 2013.

Ricordo che mi chiesi “E chi sarà mai”?!?

Ricordo che l’avvocato Buffa raccontava la storia di questo ebreo austro-ungarico, calciatore della fortissima Ungheria degli anni ’20 diventato allenatore, troppo presto, a causa di un grave infortunio di gioco. Allenatore arrivato poi in Italia ad allenare prima l’Ambrosiana Inter, dove ebbe il colpo di genio di scoprire Giuseppe Meazza, troppo esile e perciò, in un primo momento, scartato dagli osservatori dell’Inter, ma voluto fortemente da Arpad Weisz. Successivamente allenatore del grande Bologna, dove vinse altri due scudetti e il Torneo dell’Esposizione, a Parigi, l’equivalente dell’attuale Champions League, battendo il Chelsea in finale.

Ricordo che la storia raccontata da Buffa, ad un certo punto, continuava dicendo che all’apice della carriera, quando ormai Arpad Weisz era considerato il più grande allenatore d’Italia, dopo che aveva scritto un “Manuale sul giuoco del calcio” e del suo modulo W-M, nel 1938 vengono promulgate in Italia le leggi razziali. Le leggi antisemite sono uno stupro!

Ricordo, raccontava ancora Buffa, che Weisz continuò ad allenare quasi come se niente fosse fin quando le camice nere non imposero ai dirigenti del Bologna di liberarsi dell’ebreo.

Ricordo il viaggio di Weisz per fuggire dall’Italia fascista e razzista prima in Francia e poi in Olanda, dove continuava ad allenare.

Ricordo la deportazione di Arpad, della moglie Ilona e dei suoi due figli Roberto e Clara ad Auschwitz dove per tutti loro sarà la fine. Per Arpad arriverà il 31 gennaio del 1944. Solo, senza sapere che fine ha fatto la sua stessa famiglia, ma soprattutto senza capire cos’ha fatto di male per giungere a quella fine tanto crudele, cos’ha fatto di male per meritare quegli insulti razziali, urlati da quelle persone che prima lo adoravano e osannavano e che in poche ore gli voltarono le spalle dimenticandolo.

“Fate correre quella palla! Fate correre quella maledetta palla”!!!

Così inizia e così finisce lo spettacolo magistralmente messo in scena, il 25 aprile 2015, presso il Magnifico Visbaal Teatro di Benevento, dalla Compagnia Mutamenti/Teatro Civico 14 che, con in scena il solo attore Roberto Solofria, su drammaturgia di Simone Caputo, Ilaria Delli Paoli e Rosario Lerro, ha raccontato la storia de “Il più grande” così come l’ho descritta poc’anzi.

Un solo attore; una lavagna sulla quale viene scritta la storia di Arpad Weisz; dei supporti in ferro che, all’occorrenza, fungono da calciatori del Bologna, da vagoni del treno che lo porta ad Auschwitz, da internati con diversi colori a seconda delle “specie” (rosa per i gay, giallo per gli ebrei, ecc.); e, infine, tanta emozione e commozione durante e dopo lo spettacolo! Come quella sera del 27 gennaio 2013 davanti al televisore…

Questo è, in sintesi, “Il più grande” la storia di Arpad Weisz che è morto due volte: la prima volta ucciso dai nazifascisti e dalla loro crudeltà; la seconda volta, ed è forse la peggiore, morto per mano di noi italiani, di noi amanti di quello che è definito il più bel gioco al mondo, perché l’abbiamo completamente dimenticato per oltre sessant’anni!

Ed il fatto di finire lo spettacolo con quel suo classico incitamento a far correre la palla è stato un bel modo, come mi hanno raccontato attore e registi parlando dopo l’esibizione, di ricordare Arpad e, soprattutto, di immaginarselo anche nell’aldilà a fare ciò che gli era sempre piaciuto fare: allenare!

Un ringraziamento, perciò, davvero sentito alla Compagnia Mutamenti/Teatro Civico 14 per averci ricordato e messo in scena una storia dimenticata.

Ed anche il voler scrivere delle mie emozioni vuole essere un modo per non ricordare e non dimenticare, rendendo omaggio ad una persona davvero speciale: il più grande!

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