Le pupe di Quaraesima
Se avete un momento libero fatevi un giro per il Fortore, ammirate le meraviglie che la Grande Madre compie in questo periodo dell’anno ai suoi campi. Fermatevi ad osservare la tavolozza di colori con cui dipinge i prati, i campi coltivati in orizzontale e verticale, le distese che si risvegliano dal letargo invernale.
Se vi capita fermatevi a S. Giorgio la Molara e mentre passeggiate tra i vicoli che profumano di pane, alzate gli occhi al cielo ed osservate forse uno degli ultimi strascichi di antichi riti in cui la cristianità ed il paganesimo si trovano intrecciati.
Sono le bambole di Quaraesima. Appese ai quadrivi, nelle strade, nei quartieri.
Ricordano un periodo di digiuni e penitenze dopo le baldorie del carnevalesche, non a caso, secondo le usanze locali la pupa quaresimale sarebbe la moglie di Carnevale. Per questo viene issata nelle vie del paese il Mercoledì della Ceneri, vestita con gli abiti della tradizione locale e con il tipico “maccaturo” , il fazzoletto con cui le contadine si coprivano la testa.
I colori del suo abito sono scuri, in ricordo di un periodo di lutto e di purificazione.
Tra le mani un fuso ed un rocchetto con un cespuglio di lana da tessere: sembrano ricordare le Parche (figure mitologiche) della cultura greca, le quali usavano tessere il filo del fato di ogni essere umano.
Sotto di loro una patata in cui vengono infilzate sette penne, sette come il numero delle domeniche che mancano alla Pasqua.
Di domenica all’imbrunire il vicinato si incontra, e come un rito, scende dall’alto la pupa di Quaraesima. Un’occasione per fare festa, per concedersi un momento di convivialità per tutti. Ed è interessante sapere che nella tradizione cristiano-orientale, per raggiungere uno stato di purezza totale, era uso digiunare tutti i quaranta giorni che precedevano la Pasqua, escluse le domeniche.
Così, insieme, si toglie la penna che rappresenta la settimana che si è appena conclusa, continuando a fare il conto alla rovescia rispetto al giorno della Resurrezione per i cristiani. La Pasqua religiosa coincide in effetti con il capodanno stagionale della primavera, che risveglia la Grande Madre dal torpore invernale.
Questa ritualità per qualche anno si era persa a S. Giorgio la Molara, ma grazie alla volontà di Luigi Biasco, un semplice grande uomo, con la passione per la storia e per le tradizioni locali, che non ha voluto rinunciare ad un suo ricordo di infanzia, è tornata in auge. E’ stato facile risvegliare l’entusiasmo in chi aveva vissuto l’usanza del tempo e che ancora poteva far appello alla memoria e alla nostalgia.
Il destino ha voluto che pochi giorni dopo aver conosciuto, insieme ad i miei alunni, la storia della pupa di Quaraesima, appesa al quadrivia poco lontano dalla nostra scuola, venissi a conoscenza di un articolo di Maria Ivana Tanga, e delle attenzioni antropologiche di Franca Molinaro per scoprire che vari paesi irpini avevano usanze simili.
Mi piace questo aspetto antico, pagano, dalle radici profonde e sacre dei nostri territori e credo sia fondamentale recuperare la memoria di quanto ci era caro. Diventa intrigante scoprirne i significati.