Un caso di evoluzione etica del gusto: la falanghina Mustilli.
Fruizione responsabile delle emozioni artistiche e alimentari.
[di Alessio Masone] Ho avuto occasione di frequentare la famiglia Mustilli di Sant’Agata de’ Goti: familiarizzare con la loro vita privata e con le attività culturali, di cui sono artefici, mi ha consentito di conoscere da vicino l’humus su cui poggia il progetto delle cantine Mustilli Wine&Culture.
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A casa Mustilli si respira un’aria alternativa, anche grazie agli artisti, mariti di Paola e Anna Chiara: musicista e promotore di eventi culturali, Maurizio Chiantone; attore teatrale, come seconda attività quella di Giosuè Zurzolo. E che dire dei genitori, Leonardo e Marilì, che vollero imbottigliare in purezza, nel 1979, la prima falanghina al mondo?
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Esistono numerose eccellenze vitivinicole nel Sannio, ma è raro che un produttore di vino passi presso la mia libreria, a Benevento, per acquistare libri e prodotti bio e del Commercio Equo e Solidale o per partecipare all’acquisto comunitario di cibi locali tramite il GASb Arcobaleno (Gruppo d’Acquisto Solidale e Barattario). Questo invece accade spesso con le sorelle Mustilli. Ma Mustilli è anche la prima cantina sannita che ha aderito al SoldoCorto, la moneta locale/artigianale sannita che agevola un’economia condivisa e una coesione territoriale.
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Ebbene, ora, non posso essere imparziale, ormai, non posso essere oggettivo quando bevo il vino Mustilli. Sapere cosa c’è dietro la produzione di un alimento, ti cambia per sempre la percezione di quel manufatto.
Fruendo delle emozioni alimentari, come per quelle artistiche, rischiamo di viverle passivamente ed esteticamente, come durante un appagante concerto che, quando termina, ci dimostra che il mondo è rimasto nel frattempo immutato.
Certo, è fondamentale considerare la competenza necessaria a produrre un’opera d’arte o un vino, ma a parità di tecnica, il fruitore può mettere la sua parte: con il suo personale percorso, soggettivando il mondo, può diventare coautore dell’opera o coproduttore del vino di cui fruisce.
Senza l’impegno in prima persona del consumatore, il gusto si uniforma omologando il mondo intero. Si pensi alle nuove generazioni il cui gusto si è trasformato (vedi i bambini che preferiscono i polli allevati industrialmente), adattandosi alla prevalenza dei cibi consumati, quelli più facilmente reperibili, in quanto veicolati dalla grande distribuzione. Nel nuovo gusto collettivo che ne emerge, restano esclusi i produttori locali, le varietà autoctone, il negozianti indipendenti, le economie locali, i mestieri manuali, le coesioni territoriali.
Al contrario, con un approccio alle emozioni esperienziale, territoriale e non delegato, si è autori di un gusto etico e si partecipa a una biodiversità del mondo che promuove giustizia, inclusione territoriale, felicità diffusa e resistenza alla crisi economica e sociale che oggi stiamo subendo.
Se, nel dare identità al nostro gusto, orientiamo il nostro palato verso alimenti, non solo con ottime proprietà organolettiche, ma prodotti da chi è anche artefice di giustizia nel mondo, possiamo portare cambiamento perché anche gli altri produttori, a loro volta, si orienteranno a stili di vita capaci di giustizia. Ciò diventa anche un esercizio a un’etica relazionale: quando l’individuo considera l’altro per quello che fa per il mondo, non per quello che da lui riceve, per il rapporto di seduzione, di amicizia.
Forse perché il Sannio è prevalentemente una realtà rurale, a Benevento è nato Art’Empori, un movimento artistico/economico di fruitori responsabili che fa proprie le istanze rurali della relazione corta e dell’esperienzialità.
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Allo stesso modo, nella fruizione artistica non possiamo più considerare l’eccellenza che risiede nell’opera, calata dall’alto e uguale per tutti: dobbiamo invece considerare rilevante anche il momento creativo che risiede nella parte di competenza del fruitore che, con approccio esperienziale, tramite una fruizione etica capace di cambiamento, diventa coautore dell’opera e quindi del mondo. Sull’opera d’arte, di cui fruiamo, non possiamo incidere, ma possiamo essere coautori dell’opera nella parte di nostra competenza: anche decidere dove vediamo un film o dove compriamo il libro consente che la fatica dell’autore abbia continuità nella nostra fatica di “autori di una fruizione responsabile”.
E’ faticoso essere parte attiva del film nel dare continuità al senso di giustizia promosso dal regista: come quando scegliamo di fruire del film nello sconveniente cinema indipendente di città, invece che nell’efficiente multisala che, però, porta via identità ed economia dai territori. Allo stesso modo, è faticoso fruire eticamente di un vino o di un cibo, mettendo in discussione complessivamente le nostre abitudini alimentari e relazionali.