“Un uomo temporaneo” e la delega al sistema
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Un romanzo sulla gentilezza. Sul darsi senza chiedere nulla in cambio. Sul ‘donarsi’ quale strumento di felicità. Questo, ma anche tanto altro, c’è dentro a ‘Un uomo temporaneo’, l’ultima pubblicazione di Simone Perotti per i tipi di Frassinelli (maggio 2015).
Gregorio è un impiegato modello. Tutti i giorni, per raggiungere l’azienda dove lavora, percorre una stradina di campagna. E’ felice, centrato, ama cucinare; è un figlio attento, amorevole, capace di considerazione esterna.
Eppure, un bel mattino, si ritrova sulla scrivania una lettera di sospensione. I motivi sono nebulosi, si capisce che, dietro a tutto questo, c’è una manovra di ridimensionamento del personale da parte dell’azienda. Ma Gregorio – che viene preso d’occhio dai sindacati, pronti a strumentalizzare la sua situazione – è capace di reinventarsi un ruolo, libero come in fondo è diventato (gli viene tolto ogni incarico, viene privato anche della sua scrivania) o come, in sostanza, è sempre stato.
La sua presenza, il suo carisma, la sua libertà interiore – quel suo essere capace di non appartenere - fanno di lui un punto di riferimento per tutti gli altri colleghi mobbizzati, maltrattati, relegati al ruolo di semplici esecutori. Si tratta, in definitiva, di una rivoluzione dal basso, che muove i suoi passi da dentro al sistema, che non vuole distruggere completamente, ma risanare e trasformare: ed è una rivolgimento che parte dalla percezione chiarissima che Gregorio ha di se stesso, del futuro che verrà.
Ci sono tanti tipi psicologici, nel romanzo di Perotti: nell’ottusità vuota dei superiori di Gregorio – carrieristi e sciocchi – c’è, in primis, la tendenza a delegare. Che è, poi, il male di sempre: dietro la delega c’è la nostra incapacità di porci nel mondo come persone consapevoli.
Dunque come potrà fare Gregorio – unico risvegliato in un Getsemani di persone addormentate – a vincere la sua battaglia contro i mulini al vento e a salvare la sua anima?
E se Gregorio fosse, in realtà, il Gregor Samsa di Kafkiana memoria, che parte dalla sua trasformazione per ridisegnare, stavolta, i confini possibili di una nuova felicità?
L’unica via, semba dirci Perotti, è il risveglio: lo scarafaggio alieno a una realtà omologante che fagocita i nostri destini di uomini.