Caro libri e consumo critico

di Alessio Masone    

Nella società dell’opulenza (e della recessione), dimentichiamo spesso la differenza tra povertà reale e povertà percepita. Tra quella che ricorre quando non si è in grado di soddisfare le funzioni fisiologiche e sociali essenziali (fame, salute, condivisione sociale) e quella in cui l’individuo, pur possedendo molti comfort, in relazione ai suoi simili si percepisce economicamente inadeguato . 

   Nella società occidentale, noi tutti, non potendo possedere tutto quello che il mercato ci impone per consentirci adeguatezza, ci ritroviamo frustrati quanto a ricchezza.

    Molti di noi, per inseguire prodotti superflui, ma alla moda, si ritrovano, a fine mese, a corto di denaro: a questo punto acquistare beni necessari, come i testi scolastici, diventa un problema.

    Quegli stessi ragazzi che, per risparmiare, comprano libri usati o che non li comprano affatto, poi, non rinunciano allo zaino griffato o al telefonino ultima generazione.

    I testi scolastici non hanno prezzi proibitivi: costano meno di un profumo, durano più di una maglietta alla moda.            

    Collaudati negli anni, di solito, sono corredati da un ricchissimo apparato iconografico e realizzati con legatura, non a colla, ma con filo (praticamente indistruttibili): qualsiasi tipologia di libro (saggistica, giuridica, universitaria, letteraria, ecc.) non può competere per rapporto qualità/prezzo con i manuali scolastici. In più, questi ci risulteranno utili oltre il limite degli anni scolastici. Dovrebbero restare nella libreria di casa a testimoniare la nostra gioventù, utili come opere di consultazione, idonei ad “arredare”, con i loro contenuti, le nostre dimore.

    E invece, noi, spesso, i libri scolastici li rivendiamo (svendendoli), poi, compriamo nelle edicole, a puntate, asettiche enciclopedie, uguali per tutti ed estranee alla nostra esistenza.

    Arrediamo la casa, omologando la libreria, con libri (veicolati in massa dai giornali, col miraggio del risparmio) che poi spesso non saranno mai letti, mai fatti propri.

    Semmai, impreziosiamo la casa con oggetti di dubbia valenza artistica, che poi col tempo, cambiato il gusto, saranno sostituiti da ennesimi acquisti. Invece i testi scolastici, raccontando la nostra gioventù andata, col tempo acquisiranno sempre più valore personale. I loro contenuti, le pagine di storia letteraria, di arte, di latino, di scienza, di storia della nostra civiltà, non saranno mai superati dal “nuovo che avanza”.

    La finanziaria 2005 prevede che, nei prossimi anni, i testi scolastici debbano essere scaricabili da internet: in questo modo si sposteranno altre risorse economiche, originariamente destinate a beni fondamentali, dalla filiera locale (librerie) e nazionale (editori e autori) alle multinazionali che ci venderanno ulteriori beni superflui nella grande distribuzione.

    Questo provvedimento debilita la, già scarsa, credibilità che godono i libri e i loro contenuti presso la popolazione italiana.

    Potendo, molti studenti stamperebbero solo le pagine più necessarie alle interrogazioni, perdendo ogni familiarità con il bene libro, strumento fondamentale per il progresso culturale e civile di una nazione.

    Le famiglie, realmente impossibilitate ad affrontare la spesa dei libri scolastici, comunque, già si organizzano comprandoli usati o fotocopiandoli, sebbene ciò violi le norme a tutela del diritto d’autore.

    Lo Stato, se davvero vuole tutelare la capacità d’acquisto delle famiglie italiane, vieti, come già avviene per il latte in polvere per neonati, la pubblicità (su TV e giornali) dei prodotti di corredo scolastico (diari, quaderni e zaini griffati) e di tutti quei beni che incidono sulle attitudini e i consumi dei giovani in età scolare (playstation, telefonini, motocicli).

    Lo Stato, se davvero vuole uno sviluppo economico che favorisca le popolazioni, freni quell’erosione di risorse dell’economia locale e culturale che favorisce gli azionisti dell’economia globale: quell’insaziabile forza colonizzatrice che sta impoverendo le popolazioni locali di tutto il pianeta, sottraendogli risorse economiche, ambientali e culturali.

 

    I giornali, le TV e le associazioni dei consumatori, invece di incentivare una caccia alle streghe contro i libri scolastici, facciano controinformazione. Sensibilizzino il cittadino al consumo critico: meno acquisti condizionati dalla grande industria per beni superflui, più consapevolezza nell’utilizzo delle risorse economiche del singolo e nello sfruttamento delle risorse ambientali della collettività.

    Si ricordi al consumatore di risparmiare scartando i beni voluttuari. le cose essenziali, oltre che più economiche, sono anche le migliori: il pane con il pomodoro, non solo, è più economico della merendina confenzionata dalla grande industria e imposta dai mass media, ma è anche più buono e salutare; per di più, non inquina, né con i residui della confezione, né con il trasporto per mezza Italia. 

    Denuncino che i supermercati e i centri commerciali consentono alla famiglia un risparmio medio del 20% sui propri prodotti, ma che nel contempo la inducono all’acquisto di beni superflui per oltre il 20%: in pratica, la famiglia spende, in totale, più di quanto avrebbe speso nel negozio di quartiere (tra l’altro, senza uso dell’auto).

    Le famiglie italiane, irretite da beni voluttuari, proposti maliziosamente, in offerta o con pagamento rateizzato, negli scaffali della grande distribuzione, sedotte da libri e DVD in offerta nelle edicole, alla fine del mese, si ritrovano senza fondi: allora ci si accanisce contro i beni necessari, come quei libri su cui i giovani si formano, contribuendo al proprio futuro e a quello della civiltà.

Alessio Masone

Benevento, 7 settembre 2008

Pubblicato sul Sannio Quotidiano del 16 settembre 2008

Una risposta a Caro libri e consumo critico

  1. tullia 9 febbraio 2009 a 17:56

    Tema complesso, che si allaccia a quello della liquidita’ (per citare Bauman, che ha coniato l’illuminante termine). Veniamo investiti di falsi bisogni dal mercato che monopolizza gusti, abitudini, perfino le modalità del sentimento.
    ‘Panta rei’, ma non secondo un valore eterno ed universale, quello di Eraclito. Panta rei perchè il mercato decide che tutto deve passare.
    E lo decide per lasciarci sempre piu’deboli, senza radici ed ancora piu’ indifesi. Così puo’ meglio infierire su di noi.
    Tirarsene fuori si puo’.
    Bisogna sforzarsi di capire cosa accade.

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