Shoah e omologazione: oggi si chiama nazismo economico
[di Alessio Masone] Oggi, col senno di poi, tutti siamo scandalizzati da quello che hanno subito gli ebrei durante il nazismo.
Ma questa posizione rischia di suonare come un luogo comune, quasi un modo per autoassolversi.
Un processo culturale, di cambiamento, invece, dovrebbe consistere in una messa in discussione dello status quo, del nostro abituale modo di sentire che appunto abbiamo ereditato, ma che ancora non abbiamo elaborato in prima persona, in modo esperienziale e senza delegare.
Potette avvenire tanta persecuzione anche grazie alla prevalente indifferenza della popolazione del tempo, una maggioranza costituita dai non ebrei. Visto che nella persecuzione furono presi di mira anche i rom, i sinti e gli omosessuali, dobbiamo considerare che il tutto fosse sostenuto da quella spinta omologante che pervade, in un modo o nell’altro, la popolazione: tutti gli individui che esprimono esclusione verso il diverso e le minoranze, e tutti quelli che ricorrono alla competizione escludendo il proprio vicino. D’altra parte, la stessa democrazia rappresentativa, che tanto ci rassicura, basandosi sul sistema maggioritario, svilisce ogni idea minoritaria e promuove l’attitudine all’esclusione.
Proclamarsi contro la persecuzione antisemita, quando esistevano le condizioni sociali ed economiche che la rendevano attuabile, sarebbe stato un reale processo culturale, uno sforzo contro il pensiero dominante.
Come all’epoca prevaleva un’incapacità a prendere atto di quello che, tramite la spinta omologante, gravemente stava accadendo, oggi, rischiamo di non percepire i danni che, tramite la deriva uniformante, colpiscono la popolazione italiana e quella mondiale.
Certo, all’epoca, l’ingiustizia si realizzava con una violenza fisica oggi facilmente ravvisabile, come nel caso della deportazione e lo sterminio di massa.
L’ingiustizia dell’omologazione e della cittadinanza delegata, per farsi strada, ora si è trasformata in nuove forme più subdole e più accettabili dal sentire comune.
Come i geni dei batteri e degli insetti dannosi, negli anni, si modificano per sopravvivere ai farmaci e ai fitofarmaci, così i memi dell’omologazione (l’equivalente culturale dei geni biologici) si trasformano per continuare a perpetrare esclusione, ingiustizia ed emarginazione, sotto gli occhi di tutti, anzi spesso con la complicità delle stesse vittime.
I nazisti di oggi potrebbero essere si siti multinazionali di e-commerce che sottraggono redditi e identità ai territori.
I lager odierni potrebbero essere quei centri commerciali e quelle multisala cinematografiche extraurbane che, in mano a capitali finanziari (banche e multinazionali), omologano i gusti e i consumi del cittadino che si ritrova, negli anni, vittima di una crisi economica e occupazionale di cui è inconsapevole complice.
Grazie all’uniformazione, con cui vengono irreggimentate le attitudini dei cittadini, più facilmente i profitti vengono spostati dall’economia territoriale a quella sovraterritoriale, provocando disoccupazione e fallimenti delle piccole aziende locali; più facilmente vengono sottratte le identità locali che consentivano coesione sociale, provocando oggi esclusione e infelicità diffusa.
Immagino che, nel 2030, produrranno un film che denuncia l’omologazione e l’ingiustizia sociale realizzate tramite quelle scolaresche che nel 2013 venivano intruppate nei cinema multisala per la proiezione di un film su quell’Olocausto provocato dall’omologazione del XIX secolo.
Alessio Masone
Dedico queste considerazioni a Carmine Coviello che, dal 27 gennaio 2013, non è più con noi. A lui, sempre fuori dal coro, forse sarebbero piaciute.