.EcoVicinanza
EcoVicinanza
La Rete di EcoVicinanza, alla stregua degli altri distretti di economia solidale, consente una rete di operatori economici di filiera corta (contadini, artigiani, piccoli negozianti), cooperative sociali e associazioni per un’economia pulita e inclusiva.
Ma l’EcoVicinanza vuole mettere in connessione anche tutti gli altri membri di una comunità territoriale, superando le barriere dei ruoli.
EcoVicinanza nel nome porta l’idea che ciò che è vicino è ecologico e che ciò che ecologico è anche solidale.
Infatti, a differenza dell’ambientalismo del secolo scorso che appariva separato dagli altri processi sociali ed economici, l’ambientalismo di oggi, sempre più connesso alla filosofia quotidiana della filiera corta nell’economia e nel sociale, è portatore di un nuovo modello culturale, stavolta interdisciplinare, capace di economia, di redistribuzione del reddito, di identità territoriale, di coesione sociale e anche di tutela ambientale.
Ma non basta individuare un nuovo nome per procurare il cambiamento.
E’ necessario individuare anche un nuovo metodo.
CITTADINANZA CORTA o COMUNITA’ CORTA DELLE SPECIFICITA’
Il distretto di EcoVicinanza vuole agevolare una comunità delle differenze, delle specificità di cui è naturale portatore ogni cittadino di filiera corta: come consumatore responsabile, negoziante indipendente, piccolo artigiano, piccolo produttore, tutti soggetti che si interfacciano, nella quotidianità dei processi economici, con il proprio vicino di territorio.
Qui, il punto di comunanza non è il ruolo (acquirente o negoziante o produttore), ma la condivisione della stessa cittadinanza territoriale.
Il produttore o il negoziante, in quanto cittadino del territorio, è, a sua volta, consumatore ma anche portatore di passioni extralavorative da dare al mondo.
Questo è il cambiamento dal basso: non il cittadino che prende il posto dell’amministraratore, ma il cittadino che cambia nei propri stili di vita e contamina la classe dirigente di nuovi valori perché ogni suo esponente è a sua volta cittadino che svolge il suo quotidiano con gli altri cittadini.
Allo stesso modo, il produttore cambia se è, a sua volta, anche consumatore responsabile, cittadino appassionato.
CITTADINANZA CORTA o COMUNITA’ DELLA CITTADINANZA APPASSIONATA
Quindi, ogni consumatore è, a sua volta, quel cittadino appassionato che è portatore di una sua specificità, di una sua competenza, di una sua attitudine.
Se vogliamo che l’individuo si senta accettato dalla sua comunità territoriale, questa deve agevolare in ognuno la passione di cittadino, in quanto capace di esprimere le proprie specificità.
Per lo stato chi è senza partita iva, non esiste e può solo consumare, fruire.
Invece, esistono tanti cittadini appassionati di alimentazione naturale, di agricoltura biologica, di tecniche tradizionali, di artigianato creativo: i saperi e le passioni di questi cittadini devono essere messi in rete a prescindere dallo status professionale.
Al riguardo, è da ricordare il movimento di Genuino/Clandestino per la libera lavorazione dei prodotti contadini.
Le norme igienico sanitarie, cucite su misura della grande industria agroalimentare, marginalizzano una miriade di piccoli produttori disperdendo i saperi e i sapori della terra e allontanando l’economia dai territori per concentrarla in pochi soggetti sovraterritoriali.
SISTEMI DI GARANZIA PARTECIPATIVA AGROALIMENTARE
Qui vengono in aiuto e i GAS (Gruppi d’Acquisto Solidale) e i sistemi di garanzia partecipativa che su base locale si affidano alla relazione fiduciaria e di conoscenza che si realizza tramite la filiera corta.
Nel secolo del cambiamento dal basso, il filo conduttore di una comunità deve essere il cittadino con le sue specificità e questo può avvenire solo con la cittadinanza corta e appassionata.
SPECIALIZZAZIONE DEL LAVORO E DISPERSIONE DELLA COESIONE SOCIALE
Se si vuole agevolare la diffusione della filiera corta, si deve incentivare la coesione sociale e ridurre la componente verticistica che è presente in tutti noi.
La specializzazione del lavoro ha causato la dispersione della coesione sociale. Le associazioni di categoria professionale accentuano la separazione tra i cittadini di un medesimo territorio.
Le comunità dovrebbero utilizzare le eterogeneità di un unico luogo per farne un crocevia di contaminazione che scavalca le separazioni dei ruoli: sopratttutto produttore con consumatore, entrambi cittadini attivi dello stesso luogo, e meno produttore con produttore perché se si incentiva la relazione tra analoghe professionalità, avremo che il produttore del Taburno si sentirà più simile ai produttori di altri territori che ai consumatori del proprio territorio, agevolando una cultura sovraterritoriale.
Se il produttore è di filiera corta, quindi non di monocultura, interfacciandosi ai suoi vicini di territorio, la sua cultura imprenditoriale diventa agevolatrice del territorio.
Allo stesso modo, ogni associazione, culturale o ambientalista, deve dare l’esempio privilegiando un’interazione complementare tra le associazioni del territorio e non un’interazione illusoria con quelle analoghe che necessariamente agevolerebbe una modalità sovraterritoriale e omologante.
Se i membri di un’associazione di carattere nazionale si fidano più degli altri soci che dei propri conterranei, promuovono, a parole, la filiera corta e la cultura territoriale, ma di fatto agevolano, nei consumi e nei processi sociali, un’attitudine verticistica e sovraterritoriale, grazie alla quale la massaia continuerà a fidarsi più del produttore nazionale che di quello locale.
Ma l’EcoVicinanza si basa anche su numerosi strumenti: le Pagine EcoVicine e la moneta corta (SoldoCorto).
La moneta corta, il SoldoCorto: una sorta di buono sconto interscambiabile fra gli operatori di filiera corta: emesso sull’acquisto effettuato presso i produttori locali e i negozianti indipendenti, aderenti all’iniziativa, è fruibile presso qualsiasi altro esercente aderente al circuito.
Le Pagine EcoVicine sono una guida per il consumatore responsabile che vuole rivolgersi prevalentemente ai produttori locali e ai negozianti di rione.
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L’EcoVicinanza, subentrando al Movimento per le identità urbane e rurali beneventane, fa proprie le istanze di questo movimento fondato nel 2009.
“Movimento per le identità urbane e rurali beneventane”
Il movimento si propone di tutelare i nostri luoghi dal rischio:
- di essere inglobati nell’area metropolitana campana, a causa di maggiori collegamenti con Napoli;
- di rinunciare all’economia rurale, ambientale e turistica del territorio, a causa di una Piattaforma logistica.
La crescita demografica delle aree metropolitane ha toccato il suo culmine e, negli ultimi quindici anni, si assiste ad una inversione di tendenza che vede la crescita dei piccoli centri, a scapito delle grandi città.
L’isolamento, che nel XX secolo aveva costituito un limite allo sviluppo, ora nel XXI secolo, col senno di poi, sta risultando essere un vantaggio competitivo, in termini di risorse identitarie ed economiche.
Il Movimento si prefigge, quindi, la difesa delle identità dei luoghi, dell’ambiente, delle risorse e di quell’economia locale che, basata sull’agroalimentare e sulla filiera corta, costituisce il modello di sviluppo in espansione in questo secolo: negli ultimi quindici anni, le industrie europee hanno espulso il 30% della classe operaia e i container, ormai, sostano inutilizzati nei porti internazionali.
Il mondo vedrà emergere, come protagonisti del XXI secolo, la provincia e i piccoli centri: casseforti di biodiversità e di vivibilità che, con il loro modello culturale, hanno conservato, a dispetto delle omologanti aree metropolitane, un’identità e un’economia reale.
La provincia, finora periferia dell’impero ma luogo privilegiato della filiera corta, in termini economici e sociali, sarà, nei prossimi decenni, un modello da estendere alle aree metropolitane.
Mentre è in corso questa inversione di tendenza, in pochi anni, dopo un eccesso di isolamento, nel caso si realizzino maggiori collegamenti con l’area metropolitana (la bretella autostradale CE-BN e la linea metropolitana NA-BN) e una piattaforma logistica da 420 ettari (grande quanto la metà di Benevento), il Sannio si ritroverebbe ad essere un sobborgo di Napoli e stravolgerebbe la propria identità rurale e sociale, dilapidando un patrimonio che costituisce, per il prossimo futuro, un fattore di crescita e benessere che poche altre realtà vantano.
La popolazione mondiale, già oltre i 6,5 miliardi, crescendo al ritmo di 84 milioni di individui annui, nel giro di pochi anni, giungerà alla preoccupante cifra di 8 miliardi. A quel punto, non basteranno tutti i terreni coltivabili del pianeta per soddisfare la domanda alimentare della popolazione mondiale. Non a caso, i governi cinese, sudcoreano e statunitense stanno acquistando, in Africa, vasti territori agricoli per tutelare la propria sovranità alimentare. Considerando che, nei paesi in via di sviluppo, è in continua crescita il consumo pro capite di alimenti, il comparto agroalimentare, nel futuro, sarà più strategico del comparto industriale.
Quando, ormai, l’economia di scala e l’estrema mobilità di merci, tipiche della produzione industriale centralizzata e della grande distribuzione, sono in recessione, le aree, come il Sannio, non industrializzate e a bassa densità demografica, sono quelle più avvantaggiate per agganciare quell’economia che, basata sulla filiera corta, sulla sicurezza agroalimentare, sul turismo ambientale e culturale, costituisce l’unico comparto in espansione nel XXI secolo.
Sarebbe opportuno, dunque, sfruttare la nostra vocazione ambientale e culturale (le colline, i paesini arroccati, i centri storici, l’università, le manifestazione culturali, artistiche e gastronomiche, la filiera corta con le nostre campagne, il consumo locale, ecc.) per realizzare un’economia pulita, più funzionale a una redistribuzione del reddito e più capace di contrastare le ricadute di una recessione mondiale.
I recenti metodi di valutazione delle risorse di un territorio, in termini di attrazione e occupazione, considerano prevalente la vivibilità di un luogo: gli spazi aperti, le relazioni umane, l’assenza d’inquinamento e di traffico veicolare, la presenza di quel paesaggio agrario che, come filtro tra un centro abitato e l’altro, a tutela della identità dei luoghi, evitano che le nostre cittadine diventino città senza fine e senza confine con le altre località.
Solo conservando la nosta identità, avremo da vendere turismo e merci agroalimentari alle popolazioni della fascia costiera campana.
Se, invece, il nostro territorio sarà omologato a quello metropolitano, perderemo quell’identità urbana di borgo elegante e quel paesaggio agrario, capace di sicurezza alimentare, che, nell’insieme, attraggono le famiglie napoletane in cerca di quello che l’area metropolitana non gli consente.
La nostra classe politica, con la scarsa lungimiranza dell’uomo della strada, invece, vuole realizzare nel territorio beneventano, finanche con orgoglio, quel modello di sviluppo che, ormai in declino, si è dimostrato fallimentare nell’area metropolitana napoletana, in termini occupazionali, di vivibilità, di costo della vita, di salubrità pubblica e di legalità.
Attenendosi ai soli termini economici, con la realizzazione della piattaforma logistica alle porte di Benevento, si agevolerebbero, nel breve periodo, poche grandi imprese estranee al terrritorio sannita e si sfavorirebbe, nel lungo periodo, la generalità delle piccole imprese locali, in particolare quelle rurali: sulle complessive 32 000 aziende registrate presso la Camera di Commercio di Benevento, 14 500 sono agricole.
Per tutte queste ragioni, il Movimento, promosso dalla Rete Arcobaleno, suggerisce alla classe dirigente di non inseguire una strategia votata al massimo della cementificazione e dell’infrastrutturazione che, per la comunità beneventana, comporterebbe un aumento di polveri sottili e del costo della vita e la perdita della vocazione ambientale e rurale, a danno di quell’indotto turistico e agroalimentare, già cospicuo e in trend di espansione.