Violenza sulle donne e società competitiva. Pensiero della differenza per una cultura non violenta e inclusiva

[di Alessio Masone] Nella giornata dedicata alla violenza sulle donne, abbiamo avvertito un invito. Ma siamo mai riusciti ad eliminare i crimini grazie a una semplice sensibilizzazione?

Questo forse perché, nel quotidiano non agiamo nessun cambiamento, nessuna messa in discussione che ci consenta di non essere complici di una società competitiva ed escludente che agevola la violenza sulle donne ma anche la prevaricazione in genere.

In mancanza di una comunità coesa e inclusiva, ogni individuo, adulto o giovane, è spinto naturalmente a esercitare potere verso gli altri: tramite la forza fisica, ma anche tramite la violenza morale che è meno individuabile e perseguibile.
La società civile e il mondo intellettuale ritengono di fare la propria parte condannando moralmente la violenza sulle donne.
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Ma secondo il metodo del cambiamento dal basso, questo non è sufficiente: è necessario che la società civile faccia la sua parte rinunciando a proprie abitudini che involontariamente sono promotrici di una collettività che fisiologicamente genera sopraffazione e violenza.
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Deleghiamo le responsabilità sempre all’altro, ma ognuno di noi, a suo modo, nel suo mondo, è portatore di competizione e di violenza. Alcuni di noi lo fanno in modo latente, alcuni lo fanno in modo formalmente lecito, altri non avendo altro modo di esercitare potere sull’altro, lo fanno sugli unici esponenti su cui possono agire: i propri familiari, la donna e i minori.
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Per questo motivo, sono scettico sulle singole giornate simbolicamente dedicate alla violenza sulla donna o agli abusi sui minori o al bullismo o alla devastazione dell’ambiente o alla fame nel mondo o alla legalità: sono facce di un unico problema quotidiano.
Analizzando la questione con il metodo di Art’Empori (il cambiamento dal basso applicato alla fruizione culturale ed artistica), dobbiamo ipotizzare che esista una corrispondenza diretta fra la tendenza a fruire di un autore/artista, in quanto semplicemente più noto di altri, tramite i mass media (esclusione e delega), e la commissione di atti violenti sulla donna e di prevaricazioni in genere.
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A proposito di donne, Art’Empori promuove un metodo utilizzato dal pensiero della differenza femminile per agevolare un linguaggio della non violenza: non citare i grandi autori per dare credibilità alle proprie convinzioni, ma utilizzare un linguaggio laico (scevro da dogmi e inclusivo) e capace di esperienzialità.
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Ebbene, sempre più, quando leggo uno scritto molto erudito e ricco di citazioni, insieme alla piacevolezza (fruizione estetica), io scorgo un linguaggio grondante sangue, in quanto esclusivo e competitivo (fruizione etica). In quel momento, come un visionario, scorgo insieme tutte le violenze e le prevaricazione che stanno avvenendo contro le donne e contro l’umanità: forse, oltre a dare spazio ai poeti che scrivono, dovremmo tentare di essere poeti nel leggere, quindi di essere coautori dell’opera e del mondo.
Questa fruizione etica ed esperienziale delle arti costituisce una cittadinanza artistica non delegata.
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Ma le donne, nel pensiero della differenza di genere, sono portatrici nel mondo anche di un’attitudine alla cooperazione, alla cura, alla solidarietà: esse, se non venissero omologate all’uomo (quote rosa), sarebbero capaci di promuovere un uomo meno competitivo ed escludente, meno bramoso di potere, quindi meno violento nelle ripercussioni diffuse del suo agire.
In questo caso, possiamo guardare le donne come protagoniste capaci di condizionare il mondo e non come vittime passive da tutelare.
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È necessario rimuovere la causa dell’ingiustizia, non semplicemente concentrarsi sui sintomi dell’ingiustizia, su quegli autori materiali di cui siamo noi i mandanti quotidiani: con l’esclusione che agevoliamo anche nel guardare un film premiato, nel comprare un libro promosso in televisione o sui giornali, nel partecipare a un dibattito dove i relatori sono tutti insieme contrapposti agli spettatori, nell’amare i personaggi nazionali della cultura e nell’odiare quelli vicini di casa.
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Mettere in discussione le nostre abitudini di fruizione artistica è faticoso per noi quanto lo è per un alcolizzato violento non picchiare la moglie.

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