Streghe, janare e fattucchiere attraverso le nebbie dei secoli

Trieste, Parco di Miramare. Dic.2005[di Franco Bove] Le Janare, dette anche fattucchiere, a differenza delle streghe, appartengono alle credenze del mondo contadino della provincia e non alla dimensione urbana.

In genere erano donne emarginate che con il loro presunto sapere misterico, in fatto di erbe medicamentose e di pratiche apotropaiche (vedi, ad esempio, la capacità di scongiurare il malocchio) sopperivano alla mancanza nelle campagne meridionali delle cure mediche e, soprattutto, della conoscenza delle vere cause delle malattie e della povertà.

Si inserivano in un contesto culturale dove le durissime condizioni materiali di vita, gli ostacoli insuperabili al pieno soddisfacimento dei naturali desideri e le limitate prospettive esistenziali inducevano a trovare spiegazioni inevitabilmente irrazionali per la sofferenza psichica, il dolore fisico e la morte.

Lo storico domenicano Michele Miele racconta di aver scoperto in una delle relationes ad limina, inviate a Roma da un arcivescovo campano nel XVIII secolo, un episodio significativo di tale stato di fatto. Una donna di campagna aveva confessato al proprio parroco di aver copulato con i diavoli, suscitando in lui grande disorientamento. Pur giudicando la confessione poco attendibile, egli non poteva, infatti, far finta di niente, se non altro per non deludere la ravveduta peccatrice. Ma quale penitenza comminare? Escludendo la scomunica e anche procedimenti di tipo esorcistico, del tutto fuori luogo, non ci si poteva ridurre ad un mero predicozzo e a qualche giaculatoria che potevano favorire un certo lassismo di costumi. Di qui la richiesta di chiarimenti al vescovo, il quale a sua volta l’aveva trasferita alla Curia romana, ma non al Sant’Ufficio, interpretando il fatto come un problema di arretratezza culturale e di gestione ecclesiale. La risposta fu di non drammatizzare, di evitare di confondere la fantasia con la realtà e di tentare di incanalare nell’alveo della preghiera le pulsioni insoddisfatte delle misere donne. Nessuno se la sentiva di affondare le mani in quell’oscuro fondo dell’immaginazione umana da cui poteva emergere di tutto, anche quei residui di paganesimo, che Ernesto De Martino mise acutamente in evidenza nei suoi studi.

Le Janare sono sopravvissute alla modernità e l’antropologo sannita Abele De Balsio ne descrive alcune ancora operanti al suo tempo. Non risulta che siano state mai processate nella nostra provincia, dove del resto, non esisteva il tribunale che avrebbe dovuto occuparsene. A Benevento, peraltro, non credo che ci sia stato un clima particolarmente repressivo. Il vero problema per la borghesia cittadina è stato e resta, tuttora, quello dell’identità incerta della comunità beneventana insediata sul confine tra la Campania Felix, la Puglia e il Molise, avendo con ciascuna delle tre qualche tratto in comune. Di qui i continui tentativi di ripescare miti fondativi, elementi caratterizzanti e narrazioni inverosimili nel coacervo di storie del passato..

E’ significativo che ancora negli anni cinquanta del Novecento un raffinato scrittore e giornalista come Guido Piovene, nel corso di un reportage per il Corriere della Sera, riutilizzasse l’argomento delle streghe per dare una coloritura folklorica al suo articolo sull’ambiente sannita e, intervistando Alfredo Zazo, lo inducesse a fornirgli informazioni in merito. Il noto fondatore della rivista Samnium assecondò ingenuamente il gioco sottilmente snobistico che gli si proponeva e così, senza volerlo, finì con l’ammettere le arretratezze della società locale. Era già avvenuto con i viaggiatori del Settecento e dell’Ottocento che non cercavano nella nostra regione solo le vestigia del mondo classico, ma anche le ultime tracce del paganesimo e, a volte poco nascostamente, la contaminazione con un mondo ritenuto premoderno. Hanno fatto parte di questa rappresentazione poco edificante della realtà meridionale le coreografie libertine di Lady Hamilton e le foto patetiche di poveri pescatori nudi del barone Von Gloeden. Sono immagini denotative di subalternità di cui dovremmo finalmente liberarci, lasciandoci alle spalle le false identità ereditate dal passato.

(la foto utilizzata è di Nicola Rapuano ed è parte della mostra 1&2, presso libreria Masone di Benevento, dal 1° al 28 febbraio 2014)

Sullo stesso argomento e dello stesso autore:
https://www.artempori.it/artempori/2014/01/12/la-costruzione-del-mito-delle-streghe-di-benevento/

Una risposta a Streghe, janare e fattucchiere attraverso le nebbie dei secoli

  1. Nina 13 febbraio 2014 a 0:34

    Caro Franco, tutto molto interessante.
    È sempre con gran piacere che ti leggo, ma devo dirti che trovo alquanto positivista, molto razionale, la tua posizione.
    Non lasci spazio ad un’eventuale irruzione di elementi d’irrazionalità che pure ci appartengono.
    È , dunque, quella delle streghe di Benevento, una faccenda che ci fa poco onore e mi sembra di aver compreso la tua prospettiva: nn è una cosa di cui certo vantarsi in un panorama culturale più ampio e moderno.
    Mentre ,invece , viene passato come elemento di distinzione, quasi aspetto identitario di cui fregiarsi.
    È solo folklore che nn certo ci fa onore.
    Ma, a costo di sembrare ripetitiva, t’assicuro che molte donne ancora oggi ne vanno fiere.
    Come si spiega?
    Forse perché , come ha fatto la Muraro, attraverso una sorta di anacronistica identificazione, in quel lbro , che a me piace tanto, “La signora del gioco”, si cerca di riabilitare le donne che in Italia e in Europa furono processate per stregoneria.
    O fors’anche perché ci si riconosce in certe pratiche passate per subcultura , ma da cui sono nati studi di tutto rispetto.
    O vuoi forse per una diversa idea di comunanza, che si riconosce ancora un pensiero magico. E anche qui potrei farti degli esempi.
    Per non parlare della cultura popolare o materiale che conserva ancora retaggi paganeggianti,ma non per questo da liquidare.
    Nina

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